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le tre fiere | 139 |
che cade, e dice: “Tosto verrà di sopra...„ A chiamar su Gerione serve la corda, non a pigliarlo. Quando Gerione è venuto su, Virgilio patteggia con lui; la corda non basta. Dice:
mentre che torni parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti.
Le avrà detto, presso a poco, ciò che a Caron, ciò che a Minos, ciò che a Pluto, ciò che ad altri: “Vuolsi così!„ Il difficile era di farla venir su quella sozza imagine di froda! E a ciò servì la corda, che appunto fu aggroppata e ravvolta, a formare un nodo come quelli che Gerione aveva dipinti sul dosso e sul petto e su ambedue le coste. Era un inganno all’ingannatore. Ma in che modo la corda poteva fare venir su l’ingannatore? che cosa dovè questi credere, nel veder quella corda?
Con la lonza alla pelle dipinta, come credeva di potersene servire Dante? La voleva prendere; ossia, legare, vincere, assoggettare. O che altro? Per la lonza forse era un logoro? un richiamo? uno zimbello? Non pare; è assurdo. La corda è un’arma; e servirsene come di zimbello sarebbe quale il fatto dell’uccellatore che mettesse come richiami la penera e la rete. Con la corda egli la voleva proprio vincere e avvincere, credo. Or dunque gettar qui la corda essendo un inganno per attirar su Gerione, significa spogliarsi dell’arma d’offesa, e mostrare così di non poter nuocere. È un cennare a Gerione: Non ho più la corda: vieni su, chè sei sicuro. O meglio, trattandosi d’un de’ passatori dell’inferno: Vieni su, che c’è carico per te.