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le tre fiere 131

della lussuria e della gola avrebbe messo, oltre quelli che trasmodano per il troppo, anche quelli che trasmodano per il poco: “per la soperchievole astinenza„. Egli, nella Comedia, dà a divedere che nella lussuria e nella gola l’astinenza non è mai soperchievole. Se pure questa astinenza egli non vede che porti ad altre reità, le quali siano punite altrove; poniamo, in quanto alla gola, nel cerchio degli avari; in quanto alla lussuria, nel girone ove è Brunetto. A ogni modo, l’astinenza per sè e in sè non condanna, se non nell’avarizia e nel peccato della palude stigia. Nel quarto cerchio si peccò, pare, intorno a liberalità1 “la quale è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali„. In verità vi è punito il mal dare e il mal tenere; e l’ontoso metro dei dannati è: Perchè tieni? e, Perchè burli?2 Gli uni e gli altri non ebbero freno; cioè temperanza: gli uni a tenere, gli altri a spendere. E così conferma Stazio3 il quale dice ch’egli comprese, da un verso dell’Eneide, che l’appetito doveva essere retto, cioè governato e frenato, tanto nello spendere, quanto nel tenere: non ci dovevano essere nè pugni chiusi nè mani che aprano l’ali.

Ora se l’incontinenza è duplice, Dante la punì nell’inferno nelle sue due specie? Sì: chiaramente. Egli definisce l’incontinenza d’irascibile, quando nel Convivio parla della fortezza, dicendo ch’ella è “arme e freno a moderare l’audacia e la timidità nostra„. L’audacia e la timidità sono subbiettivamente nell’irascibile.4 Ora s’intende facilmente

  1. Conv. IV 17
  2. Inf. VII 25 segg.
  3. Purg. XXII 49 seg.
  4. Vedi Summa 1a 59, 1 e passim; 1a 2ae 25, 1 e passim.