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il passaggio dell'acheronte | 81 |
E abbiamo spiegato perchè egli era quasi morto, non morto del tutto. Egli aveva avuto il lume di grazia, e questo di quando in quando tornava a splendere per lui. E così quelli del vestibolo il lume l’ebbero, se il volere non lo vollero avere; e sono perciò anch’essi quasi morti, non al tutto morti. Difatti invocano la morte. Ma vivi del tutto non sono per ciò, che la loro vita è cieca e bassa.
Ma una differenza è pur essenziale tra l’errante nella selva e i correnti nel vestibolo. Questa: che l’uno è corporalmente vivo, gli altri sono corporalmente morti. Or la morte che Dante patisce dentro la selva è una quasi morte dell’anima, come quella che hanno gl’ignavi. Che cosa libera l’uno e che cosa libererebbe gli altri da questo destino, da questa quasi morte? Il passo della selva e il passo dell’Acheronte. L’uno, con esso, muore alla morte, cioè rinasce alla vita; gli altri avrebbero quella che invocano, la seconda morte. L’Acheronte, per uno corporalmente vivo, è la morte mistica, ossia la rinascita; per uno corporalmente morto, è la morte spirituale. Chi lo passa muore; se è corporalmente vivo, alla morte; se è corporalmente morto, della morte: alla morte e della morte seconda.
Gl’ignavi, se volevano morire di quella morte mistica che è morte alla morte e nascita alla vita, dovevano, quando erano vivi, uscir dalla selva, dove chi si aggira è come morto, e vive non vivo. Ma essi, no, non furono mai vivi, e si aggirarono sempre per la selva, in cui era bensì luce, e luce di luna piena, ma quale essi non usarono per uscire dai pruni della servitù. Non vollero essi quella morte
Sotto il velame | 6 |