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mente potere conseguitare quello, che noi pensavamo essere giocondo. Qualunque adunque ama qualche cosa, quella interamente certo non possiede. Nientedimeno la conosce con la cogitazione dell’animo, e quella giudica gioconda: e ha speranza di poterla conseguitare. Questa cognizione, giudizio, e speranza è quasi una presente anticipazione del bene assente. Imperocchè non desidererebbe, se essa cosa non gli piacesse: nè gli piacerebbe se di lei non avesse avuto saggio. Considerato adunque che lì amanti abbino in parte quello, che e’ desiderano, e in parte no, non senza proposito si dice lo Amore essere misto d’una certa povertà e ricchezza. Per questa cagione quella superna Venere accesa per essa prima gustazione del raggio divino, e per amore trasportata a la intera plenitudine di tutto il lume, per questo sforzo accostandosi ella più efficacemente al Padre suo, subito risplende sommamente, per il pienissimo splendore di quello. E quelle ragioni di tutte le cose, le quali prima erano in quel raggio, che noi chiamiamo Poro, confuse e implicate, già in quella potenzia di Venere accostandosi, più chiare e più distinte rilucono. E quella proporzione quasi che ha l’Angelo a Dio, ha ancora la Anima del Mondo a lo Angelo e a Dio. Perchè questa reflettendosi a le cose superiori, similmente da quelle ricevendo il raggio, s’accende: e accendendosi genera lo Amore misto di abbondanza e carestia. Di qui adornata de la forma di tutte le cose, ad esempio di quelli, muove i Cieli: e con la sua potenzia di generare, genera simili forme a quelle nella materia degli Elementi. E qui di nuovo veggiamo ancora due Veneri: l’una è la forza di questa Anima di conoscere le cose superiori: l’altra è la forza sua di procreare le cose inferiori. La prima non è propria della Anima: ma è una imitazione della contemplazione Angelica. La seconda è propria della Anima, e però qualunque volta noi poniamo una Venere nell’Anima, intendiamo la sua forza naturale, la quale è sua propria Venere: e quando ve ne poniamo due, intendiamo che l’una sia comune eziandio allo Angelo, e l’altra sia