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Discorso di Evandrofilace Academico solitario.
Uantunque il debito di buon suddito sia di riverir con silentio le azioni del suo Prencipe e con prontezza di obedienza esequire i commandamenti impostigli, non essendo per avventura minor lode il saper ben obedire, che ’l saper ben commandare? et per contrario l’andar investigando i loro segreti pensieri, e sopra quelli farne discorsi, parlare, e darne giudizio, et specialmente da huomini privati fu sempre stimata follia, et temerità non meno grande, che pericolosa; sapendo ben essi, e per senno proprio di cui sono forniti dal Signor Dio con maggior eccellenza da gli altri, et col valor dei loro ministri et consiglieri conoscere il tempo, e di parlare, e di meglio operare. Par nondimeno, come che tutto ciò sia vero, che nei motti d’armi, che tra Prencipi si destano, sia come impossibile il tener ristretto l’humano intelletto si che ei non discorra, e si prenda licenza di osservare i loro progressi; quasi Cielo turbato, che minacci grandine, ò furia d’acqua, e di venti, onde gli huomini raccolti in se medesimi paurosi stanno attendendo, ove cader debba la rovina de tanta procella, et perciò con varij discorsi procurano di penetrare nella cagione di tante turbulenze, hora consolando se stessi nel divisar le cose a loro favore, attristandosi all’incontro quando anno temenza di futuro danno, quello fuggendo, et abborrendo à tutto loro potere. Quindi nascono i varij giudicij in prò,
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