Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/91


Sonetti del 1831 81

de cacatooore, Tappo de cacatooore! Qualche volta invece, specialmente tra bambini di condizione civile, quello il cui piede è toccato all’ultima parola, si alza, cedendo il posto al maestro, e prende lui la bacchetta per rifare il gioco. — Per le varianti e i riscontri delle altre parti d’Italia, può vedersi il Pitrè, Op. cit., pag. 37-39 e 232-39.]      2 Parole che si profferiscono con altre, in quel giuoco. [V. la nota 1.]      3 [Rabbrividisco.]      4 [San Martino, che è nominato nella filastrocca del pis’ e ppisello, passa a Roma e altrove per il santo de’ Menelai.]      5 [Quando questo sonetto fu scritto, molti romani portavano ancora scarpe con fibbie, calze nere, calzoni corti, abito corto a coda di rondine, tuba bassa e codino. E ogni volta che ne moriva uno, la gente contava i rimasti, e diceva: Son trenta, son ventinove, ecc. L’ultimo fu un certo Gnecco benestante, che viveva ancora al principio del pontificato di Pio IX.]      6 [Cimurro.]      7 [Ti pare ch’io possa] arrischiarmi.      8 Piuttosto.      9 Mandorle attorrate: abbrustolite, cioè, poi conciate con zucchero.      10 [Parodia del noto verso della Gerusalemme, II, 12: “Purchè ’l reo non si salvi, il giusto pera.„]