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30 Sonetti del 1830

ER CONTRATEMPO.

     Ecco cqui er bene come incominciò
Co’ la cuggnata de Chicchirichì.
Fascemio a ggatta sceca cór zizzì,1
A ccasa de la sgrinfia2 de Ciosciò.

     Toccava er giro a llei: me s’appoggiò
Co cquer tibbi3 de c... a ssede cqui.
Nun zerv’antro: de sbarzo se svejjò
Mi’ fratelluccio che stava a ddormì.

     Sentenno quer lavoro sott’a ssé,
Lei s’intese le carne a ffriccicà,
E arzò la testa pe’ ffà un po’ ccescé.4

     Io me diede a ccapì cch’ero io llà:
Allora, a quer ch’ha cconfessato a mé,
Lei fesce5 in core: “Je la vojjo dà!„

11 ottobre 1830.

  1. [Davevamo a mosca cieca col zizzì.] Giuoco di compagnia. Una persona bendata va in giro assidendosi, or qua or là, sulle ginocchia di questo o di quello. Profferisce col solo sibilo dei denti quelle due sillabe zizzì, e ad una eguale risposta di colui o di colei su cui siede, deve indovinare chi sia. Se indovina, passa la sua benda a chi si fece conoscere, altrimenti segue il suo giro.
  2. [Dell’innamorata.]
  3. [Con quel po’ po’.]
  4. Far cecé: traguardare da uno spiraglio.
  5. [Fece]: disse.