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290 | Sonetti del 1838 |
LE COSE SUE DE LA PADRONCINA.
Ggnente, signora mia: nun ze ne pijji.
Dii tempo ar tempo. Eppoi, ppiù de mi’ nonna,
Che de vent’anni nemmanco era donna?
E ddopo fesce disciassette fijji.
Nun è la prima lei né la siconna.
Dunque che ccosa so’ ttanti scompijji?
Lei bbadi a li mi’ poveri conzijji;
Parli cór zempriscista a la Rotonna.1
Vienuto quer negozzio che jje stenta,
La su’ fijja aritorna un zanguellatte,2
Je diventa una rosa, je diventa.
Cacci er medico, cacci, e stii tranquilla.
Questi cqui nun zo’ affari da miggnatte:
Ce vò ddittimo-grego e ccapomilla.3
2 giugno 1845.
- ↑ [Col semplicista che sta sulla Piazza della Rotonda, cioè del Panteon.]
- ↑ [Un sangue-e-latte. Esser tutto latte e sangue, per essere di bellissima e fresca carnagione bianca e rossa, n si dice anche in Toscana. E da un poeta toscano, pare, fu scritto che Buffalmacco era quel celebre pittore,
Che dipingeva i santi nelle mura
Con certi visi tutto sangue e latte.] - ↑ [Dittamo greco e camomilla. Come se derivasse da capo.]