Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/247


Sonetti del 1833 237

LE DU’ MOSCHE.

     Tu sta’ attenta a le mosche, Nastasia,1
Mentr’una nun ze2 move e una cammina,
Che ammalappena3 questa j’è vviscina,
Je zompa su la groppa e ttira via.

     Accusì4 è la cumprisione5 mia:
Ch’io vedenno6 una femmina, per dina!,
Si nun je do una bbona incarcatina7
Me parerebbe d’èsse in angonia.8

     Lo sa l’Urion9 de Monti s’io sce tiro;10
E lo pò ddì cco’ ttutta la raggione
Ch’io so’ la mosca che vva ssempre in giro.

     E istesso11 lo sa ttutta la Caserma
De Scimarra,12 che ttu ddrent’a l’Urione9
Sei l’antra13 mosca che sta ssempre ferma.

27 ottobre 1833.

  1. Anastasia.
  2. Non si.
  3. [A-mala-pena: appena.]
  4. Così.
  5. Complessione, per “natura„ o anche “costume.„
  6. Vedendo.
  7. Incalcatina, compressione.
  8. D’essere in agonia.
  9. 9,0 9,1 Rione.
  10. Ci tiro, ci anelo.
  11. Medesimamente.
  12. Il Palazzo de’ Conti Cimarra, presso l’Esquilino, ridotto in oggi a Caserma di soldati.
  13. L’altra.