Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
186 | Sonetti del 1832 |
LA PATTA.1
Ch’edè? tte sei ’mpegnato a ccallaroste2
L’avanzo er più mmillesimo de testa?
E nnun t’abbasta che ssii mezza festa,3
Ch’arrubbi puro la sarviett’a ll’oste.4
A ffàlla mejjo io m’arzerebbe cuesta,
Pe’ mmostrà le mi’5 bbuggere anniscoste,
La zazzera, er zalame, l’ova toste,
La sbarratura,6 e un tantinel de pesta.7
Fa le su’ cose sto cazzaccio matto,
Eppoi lassa scuperto l’artarino!
Sai c’hai raggione?8 Che nun c’era er gatto.
St’incerti ’ggna lassalli9 a ddon Grespino
E ll’antri preti ch’er Zignore ha ffatto,
Ché ttocca a lloro de mostrà er bambino.
Roma, 17 dicembre 1832.
- ↑ Il portellino delle brache. Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte
- ↑ Dare in pegno a sconto di caldarroste. [Calde-a-rosto: le bruciate.]
- ↑ Allorchè vedesi alcuno con la patta sbottonata, gli si chiede se sia mezza festa, che in frasario romano vale festa di divozione e non di precetto.
- ↑ Aver rubato la salvietta all’oste, importa: “tenere la camicia per inavvertenza fuor delle brache.„
- ↑ In questo luogo il mie equivale al tue. [Perchè nel primo emistichio del verso precedente c’è sottinteso: se fossi in te.]
- ↑ Il cinto.
- ↑ Peste.
- ↑ [Sai che cosa t’ha giovato, sai perchè t’è andata liscia, ecc.]
- ↑ Bisogna lasciarli.