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Sonetti del 1832 165

ER PECCATO FIACCO.

     Jjeri da bbon cristiano pascualino,1
Pe’ ppaura de San Bartolommeo,2
M’annai a cconfessà da cuer cazzèo
De padre Bbonifazzio a Ssan Carlino.

     Prima je disse che mme piasce er vino,
Poi che ttiro un’ombretta ar culiseo;
E cquarche vvorta, pe’ mmutà un tantino,
So’ de la riliggion der Manicheo.

     M’accusai de superbia ar fin de tutto.
Er confessore cqua: “Ffijjo, sei ricco?„
E cqua io: “Padre no, sso’ ssempre assciutto.„

     “Fijjo, cuann’è accusì, llassa fà, llassa,„
Repricò er confessore: “io me sc’impicco,
Si sto peccato tuo nun te se passa.„

Roma, 2 dicembre 1832.

  1. [Pasqualino.] Aggiunto che si dà a coloro che confessansi una sola volta all’anno, nella ricorrenza della Resurrezione. [S’usa anche in Toscana.]
  2. Fra i ponti Cestio e Fabricio, sull’Isola tiberina originata dalla sommersione dei manipoli di grano di Tarquinio il Superbo, è il tempio di S. Bartolommeo, nel di cui portico il giorno 25 agosto di ogni anno appendesi un cartello portante una cinquantina di nomi degl’infimi della città, che si suppone essere stati in Roma i soli non accostatisi alla Eucaristia nella Pasqua antecedente.