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146 | Sonetti del 1832 |
prospetto mostra la seguente inscrizione: Cohercendae mulierum licentiae et criminibus vindicandis. 7 [Intende dire per le donne di mala vita; giacchè per le colpevoli di delitti capitali, la forca c’era come per gli uomini.]
ER CURATO LINGUACCIUTO.1
Lo so, lo so ch’er zor curato ha sparza
La chiacchiera ch’io bbatto2 in Borgo-novo,
Che in ner mentre mantiengo er m’arimovo3
Manno pe’ Rroma la mi’ mojje scarza,4
E cche ppe’ ffajje fà mmejjo comparza
Pelo er gabbiano mio dove lo trovo:
Ma sto frate è un busciardo, e tté l’approvo:5
Cuanno una cosa nun è vvera, è ffarza.6
Abbadi a llui però co’ sta pastrocchia,7
Perché le lingue so’ ttutte sorelle,
E llui puro pò avé cchi jje la scrocchia;8
Lui che annanno a pportà le pagnottelle
De san Nicola,9 in de la su’ parrocchia
Ha ingallato da10 dodisci zitelle.
Terni, 11 novembre 1832.
- ↑ [V. in questo volume la nota 1 del sonetto: Er Curato, 13 nov. 33.]
- ↑ Pratico.
- ↑ Mi-rimovo: espressione indicante “la commozione eccitata da un soggetto che s’ama,„ quindi per traslato, “l’oggetto stesso.„
- ↑ Scalza.
- ↑ Te lo provo.
- ↑ Falsa.
- ↑ Menzogna mal composta. [Pastocchia.]
- ↑ Chi lo colpisce dicendo il di lui fatto.
- ↑ Piccolissimi pani benedetti, di virtù non inferiore a qualsiasi élixir.
- ↑ Circa.