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Sonetti del 1831 119

ER ROFFIANO ONORATO.

     È nnata e bbattezzata a la Matriscia.1
Cuà nun ze viè pe’ sbarattà le carte,
Vienghi a vvedé coll’occhi sui che cciscia,2
E ddoppo me dirà s’io so’ dell’arte.

     Se la facci spojjà ssenza camiscia,
La tasti puro da tutte le parte,
La provi, e vvederà cchi è la Miscia,
E ssi ppropio è un boccon da Bbonaparte.

     Se ne troveno pochi de sti musi.
Le regazze, Mmnzù, che jje do io,
Lei pò ppuro3 fr...lle a occhi chiusi;

     Ché nun zo’ le puzzone, monzù mmio,
Che jje porta un zocchì,4 ppiene, me scusi,
De tutte sorte de grazzia de ddio.

10 gennaio 1832.

  1. [Matrice: piccolo comune nel circondario di Campobasso. Ma col nome di Matriciani si designano tutti coloro che da quelle regioni vengono a Roma a far gli osti, i guatteri, gli erbivendoli, i granatai (scopàri), i facchini di caffè, di spezieria, ecc. Son gente buona, industriosa, laborioa; ma molto attaccata all’interesse. Nell’inverno stanno volonetieri a Roma; nell’estate, se possono, ritornano ai propri parsi, dove tutti hanno qualche pezzetto di terra propria da coltivare.]
  2. [Cicia, qui, vale: “bella ragazza.„]
  3. Pure.
  4. Un non-so-chi.