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104 | Sonetti del 1831 |
LA PAPESSA GGIUVANNA.1
Fu ppropio donna. Bbuttò vvia ’r zinale2
Prima de tutto e ss’ingaggiò ssordato;
Doppo se fesce prete, poi prelato,
E ppoi vescovo, e arfine cardinale.
E cquanno er Papa maschio stiéde male,
E mmòrze,3 c’è cchi ddisce, avvelenato,
Fu ffatto Papa lei, e straportato
A Ssan Giuvanni su in zedia papale.
Ma cqua sse ssciòrze er nodo a la commedia;
Ché ssanbruto4 je préseno le dojje,
E sficò un pupo5 llì ssopra la ssedia.
D’allora st’antra ssedia6 sce fu mmessa,
Pe ttastà ssotto ar zito de le vojje
Si er Pontescife sii Papa o Ppapessa.
26 novembre 1831.
- ↑ [“Una delle favole più meravigliose che abbia inventato la fantasia del medio evo diede a succeditore dell’operoso ed energico Leone IV una femmina avventuriera: per lunghi secoli, Storici e Vescovi, e financo Papi, e tutto il mondo, ebbero creduto che la cattedra di San Pietro sia stata per due anni tenuta dalla Papessa Giovanna. Questa leggenda esce fuor della cerchia dei fatti storici, ma non della storia delle credenze del medio evo, laonde noi dobbiamo qui in brevi tratti registrarla. Narrossi che una bella giovinetta, figlia di un Anglosassone, quantunque nata in Ingelheim, andasse a studio nelle scuole di Magonza, e fosse ornata di sì eletti pregi di mente, che se ne rivelasse un genio fuor dell’ordine consueto. Amata da un giovane scolastico, celò le grazie del suo sesso sotto la tonaca di frate, ch’ella vestì a Magonza nel convento di Benedettini, dove il damo suo era monaco: appararono insieme tutte le scienze umane; viaggiarono l’Inghilterra, visitarono Atene, dove la bella travestita s’addottrinò alla sublime scuola dei filosofi, di cui la fantasia dei Cronisti credeva che ancora formicolasse quella città. Ivi le venne a morte l’amante, e allora Giovanna, ossia Giovanni Anglico come s’era battezzata, venne a Roma. La sua scienza le ottenne una cattedra di professore alla scuola dei Greci, poichè in iscuola la favola tramuta la diaconia che noi conosciamo sotto il nome di S. Maria Scholae Graecorum. I filosofi romani ne furono ammaliati, i Cardinali (anche senza sospettare il sesso di lei), ne andarono in visibilio; ella diventò il portento di Roma. Però l’animo ambizioso della donna mirava alla corona pontificia, e allorchè Leone IV fu morto, i Cardinali convennero nella sua elezione, perocchè niun uomo credessero degno di porre a capo della Cristianità più di Giovanni Anglico, esemplare di tutte le perfezioni teologiche. La Papessa entrò in Laterano, ma il suo sesso, anche sotto ai santi paludamenti, continuò a far sentir vive le voci dei suoi istinti, ed ella si diè in braccio al suo fidato cameriere. Le larghe pieghe del vestimento pontificio ne celarono le prime conseguenze, ma venne tempo che la natura tradì la peccatrice. Mentre ella moveva in processione al Laterano, giunta fra il Coliseo e San Clemente, fu assalita dalle doglie del parto, diede alla luce un bambino, e morì. — (Papa Pater Patrum Peperit Papissa Papellum, dice un Autore favoleggiando; infatti in tal forma si spiegava un’iscrizione antica che apparteneva ad un sacerdote di Mitra (Pater Patrum), ma che il popolo ebbe riferito alla Papessa. Una statua antica che rappresentava una donna con un bambino s’ergeva lungo la Via Lateranense, e per il corso dei secoli fu reputata simulacro della Papessa Giovanna. Soltanto Sisto V ne la fece rimuovere). — I Romani inorridendo le diedero sepoltura in quel luogo, e a memoria dell’avvenimento inaudito, ivi elevarono una statua che rappresentava una donna bella, la quale teneva in capo la corona pontifìcia e un bimbo fra le braccia. D’allora in poi i Papi schivarono di passare da quel sito, allorchè lungo la Via Sacra andavano al Laterano per prenderne possedimento, e si assoggettarono ad un formale esame del loro sesso maschile, seduti sulla Sella stercoraria, che era un fesso sedile di marmo nel portico del Laterano. — Questa rozza favola fu parto dell’ignoranza, dell’avidità di racconti da romanzo, e forse anche dell’odio che i Romani sentivano contro la signoria temporale dei Papi. Vi si ravvisa l’età dei Mirabilia, che però non ne fanno narrazione, ossia del secolo decimoterzo. Il racconto si foggiò sulla metà di quel secolo, e lo si trovò per la prima volta interpolato in alcuni manoscritti di Martino Polono e di Mariano Scoto; indi lo fecero loro tutti i Cronisti, ed ottenne fede sì ferma ed universale, che intorno all’anno 1400 non si ebbe riserbo di dar luogo al busto della Papessa Giovanna nella serie delle immagini dei Papi, onde si ornarono le pareti della bella cattedrale di Siena. La non credibile ingenuità di tempi, nei quali la critica non ardiva di sturbare la credenza di qualsiasi favola o di qualsiasi tradizione, serbò sotto la sua protezione il busto allogato in quel duomo, ond’esso ivi durò senza ostacolo di sorta fra quelli degli altri Papi per il corso di duecento anni, con questa inscrizione: Giovanni Villi donna inglese; finalmente il cardinale Baronio indusse Clemente VIII a farnelo rimuovere; la figura di femmina si mutò in quella di papa Zaccaria. — Intorno a questa favola v’hanno parecchie scritture: dopo della Riforma vi fu una mischia di dissertazioni fra Cattolici e Protestanti su questo subbietto, per guisa che una donna di cantafavola ebbe biografie in maggior copia delle più celebri regine che siano state nel tempo antico e nel moderno. Perfino Federico Spanheim sostenne il fatto in una sua dissertazione; né la scalzò del fondamento la Histoire de la Papesse Jeanne del Lenfant (La Haye, 1720). Prima, Leone Allazio aveva scritto la sua Confutatio fabulae de Joanna Papissa, Colon. 1653, e David Blondel, in un’opera scritta in francese, e nell’altra De Joanna Papissa, Amstel. 1657, aveva messo in sepoltura la Papessa. Il Leibnitz, l’Eckhart, il Labbé, il Baronio, il Pagi, il Bayle, il Launoy, il Novaes ne trattarono lungamente a confutazione, e ancora ai dì nostri il Bianchi Giovini scrisse in Torino un Esame critico degli atti e documenti relativi alla favola della Papessa Giovanna, Milano, 1845. L’ultima scrittura è lo studio conchiudente del Döllinger intitolato: La Papessa Giovanna, nelle Fole pontificie del medio evo, Monaco, 1863; ivi il lettore troverà la più ampia notizia su questa favola meravigliosa. Per quel che concerne la parte numismatica, noto come importante il Garampius, De Nummo Argenteo Benedicti III (Roma, 1749). La moneta tiene scritto sul suo rovescio: Hlotharius Imp., e poichè essa fu battuta ancora al tempo di questo Imperatore, ne consegue che Benedetto III, fu immediato successore di Leone IV, e non Giovanna, cui si attribuì un reggimento di due anni, un mese e quattro giorni.„ Gregorovius, Storia della Città di Roma ecc.; vol. III (Venezia, 1873); pag. 141-45.]
- ↑ [Il grembiale]
- ↑ Morì.
- ↑ Ex abrupto.
- ↑ [Un bambino. Dal latino pupus.]
- ↑ Sedia stercoratoria. [“Quando il nuovo Papa creato aveva esaurito tutti i riti nella Basilica Vaticana, aveva luogo l’intronizzazione nella Basilica Lateranense con misteriose cerimonie, le quali terminarono a Leone X nel 1513. — Ad uso di queste cerimonie servivano pure le sedie dette stercorarie, delle quali dice così il Fulvio: “Nel portico della Scala Santa vi sono due sedie di porfido che si chiamano le sedie stercorarie, le quali furono fatte a effetto che quando era eletto il nuovo Pontefice vi si assidesse, e acciò considerasse che era uomo come gli altri e sottoposto a tutte le humane necessità, con tutto ch’egli fosse a a quel sublime grado alzato.„ (Antichità di Roma, Ven. 1588, car. 54). — Le sedie stercorarie veramente furono tre, una di marmo bianco e due di porfido, le quali per essere forate nel mezzo in forma rotonda d’un palmo di diametro, furono dette stercorarie, ecquivalente a seggette. — Queste sedie pertugiate (pertusae), bucate ed aperte nel davanti non furono che balnearie, servite a bagni e tolte, forse, dalle terme di Caracalla.... Il Papa eletto sedeva sulla prima (la bianca), indi sedeva nelle altre due nel portico della Basilica. Una leggenda narra che la ragione di questa cerimonia fosse per esaminare il sesso del nuovo Pontefice, in seguito alla frode della favolosa Papessa Giovanna, ad evitare cioè il supposto inganno che nuovamente una donna sotto spoglie di uomo potesse ascendere al pontificato; per mezzo di esse si assicuravano del sesso maschile. Ma più savi critici hanno ritenuto che la sedia stercoraria prese questo nome dall’intonare che facevano i cantori, mentre il Papa sedeva sopra di essa, il versetto del salmo CXII: Suscitat de pulvere egenum, et de stercore erigit pauperum; affinchè, cioè, il Papa si mantenesse umile nel ricordare la sua esaltazione dall’umile suo stato alla nuova dignità. Il Papa da questa sedia (la bianca) spargeva monete al popolo. Poscia era portato verso la porta del palazzo, ed assiso in quella di porfido riceveva la ferula e le sette chiavi della basilica e palazzo lateranense. Alzato da detta sedia il Papa veniva accompagnato all’altra vicina sedia porfiretica ove restituiva la ferula e le chiavi al priore. In questa seconda sedia porfiretica il Papa spargeva altre monete al popolo, e riceveva al bacio dei piedi e del volto tutti gli uffiziali del palazzo. (Vedi Rasponi, Basilic. Vatic., e Sarnelli,, Delle tre sedie, ecc.) Il Papa Leone X fu l’ultimo a sedere su queste tre sedie ed a prendere il possesso cavalcando con paramenti sacri. — Pio VI (Cancellieri, Storia dei possessi) tolse dal claustro lateranense le sedie porfiretiche, che sono di vivacissimo rosso, e fattele ripulire le col- locò nel suo Museo Vaticano, donde ai 24 di giugno del 1796 furono levate dai repubblicani francesi e trasportate in Francia insieme agli altri nostri tesori artistici. Dopo il 1815 il Museo Vaticano ne ricuperò una, restando l’altra al Museo Reale di Parigi. — Della principale sedia stercoraria di marmo bianco s’ignora il fine, e probabilmente fu distrutta.„ Costantino Maes, Curiosità Romane; parte prima; Roma, 1885, pag. 64-67.]