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278 | Sonetti del 1845 |
ER VOLO DE SIMOMMÀGO
5.
Gnisuno ha detto mai che Ssu’ Eminenza
abbi da fà la fin de Bbonaparte.
Lui nun je chieden’antro1 che le carte,2
e pp’er resto sc’è er Papa che cce penza.
E cchi cce se darebbe a la bbell’arte
de pagà ssempre e de pijjà a ccredenza,
co sto risico poi de restà ssenza
quarche straccetto che mmettessi a pparte?
Ma avessi puro minestrato3 male,
vojjo vedé chi jje farìa l’affronto
de toccajje una vesta d’urinale.4
Fra un cardinale e nnoi sc’è un ber confronto!
Qualunque imbrojjo facci, un cardinale
ha er privileggio de nun renne conto.5
13 gennaio 1845
- ↑ [A lui non gli chiedono altro ecc.]
- ↑ [E s'intende la consegna materiale delle carte d'ufficio, non già il resoconto.]
- ↑ [Amministrato.]
- ↑ [Perchè di questi arnesi allora ce n'era, e forse in qualche luogo ce ne sarà ancora, vestiti di sala come i fiaschi.]
- ↑ ["Una Commissione istituita per rivedere i conti dello Stato, detta Congregazione di Revisione, li domandava invano durante l’amministrazione del cardinal Tosti. Era accusato universalmente di questa incredibile decennale ricalcitranza il computista della Camera Apostolica, Angelo Galli... La Congregazione di Revisione era composta di uomini potenti come principi romani, di uomini di risoluta indole, specialmente il principe Barberini e il principe Prospero Sciarra di Roviano; e con tutto ciò non valse per ben dieci anni ad ottenere neppure il rendiconto., Gualterio, Op. e vol. cit., pag. 162-63. — V. anche la nota 7 del sonetto: La sala ecc., 8 genn. 32.]