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264 | Sonetti del 1845 |
LA SPIEGAZZION DE LE STAGGIONE.
Basta, o er prospero,1 inzomma, o ll’acciarino,2
Siconno3 l’usi novi o ll’usi antichi,
Er mi’ discorzo, Iddio ve bbenedichi,
Nun ve pò ancora entrà ddrent’ar boccino.
Io dico questo: annate a mmette, amichi,
Un déto su la fiara4 d’un cerino.
Ce l’arreggéte o nno? Ppe’ zzi’ rampino,5
Ce la potete arregge un par de fichi.
Ma cquer che nun ve sta ne la capoccia
È cche sto foco poi ve lo portate
Ne la pietra e nner prospero in zaccoccia.
E l’istesso, testacce de marmotta,
Succede ne l’inverno e nne l’istate.
Er zole cosa fa? scotta e nnun scotta.
4 gennaio 1845.
- ↑ [Dal nome fosforo e fosfero, che si dette sul principio, almeno nello Stato Pontificio, al fiammifero, i Romaneschi fecero prospero, e l’usano ancora.]
- ↑ [L’uso dell’acciarino, con la pietra focaia e l’esca, non era del tutto cessato, quando il Belli scriveva questo sonetto.]
- ↑ [Secondo.]
- ↑ [Un dito su la fiamma.]
- ↑ [Per eufemismo, invece di perdio o pe’ ddio, dicono pe’ zzio, e qualche volta, scherzevolmente, ci aggiungono rampino. Cfr. pe’ ddina nora, pe’ ccristallo fino, pe’ ccristallina, ecc.]