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206 Sonetti del 1843

LE CARROZZE A VVAPORE.1

     Che nnaturale! naturale un cavolo.
Ma ppò èsse un affetto2 naturale
Volà un frullone3 com’avesse l’ale?
Cqui cc’entra er patto tascito4 cór diavolo.

     Dunque mo ha da fà ppiù cquarche bbucale5
D’acqua che ssei cavalli, eh sor don Pavolo?
Pe’ mmé ccome l’intenno ve la scavolo:6
St’invenzione è ttutt’opera infernale.

     Da sì cche7 ppoco ce se crede8 (dimo
La santa verità) ’ggni ggiorno o ddua
Ne sentìmo una nova, ne sentìmo.

     Sì, ccosa bbona, sì: bbona la bbua;9
Si ffussi bbona, er Papa sarìa er primo
De mette ste carrozze a ccasa sua.

15 novembre 1843.

  1. [Gusterà questo sonetto, chi rammenti che, quando fu scritto, da parecchi pulpiti si dichiaravano invenzione diabolica le strade ferrate; e che Gregorio XVI, nel lungo suo pontificato (1831-46), non volle mai permettere che se ne costruisse neppure un palmo ne’ suoi infelicissimi stati, i quali udirono per la prima volta il fischio della locomotiva nell’estate del 1857 tra Roma e Frascati. Ma lo gusterà cento volte più chi sappia che Papa Gregorio era arrivato persino all’incredibile eccesso di proibire ai vetturini di percorrere in un sol giorno più di una certa distanza; sicchè, per esempio, la strada tra Roma e Ascoli Piceno, che si può fare in due giorni, dovevano farla in sei, e quella tra Roma e Viterbo, che si può fare comodamente in dieci ore, dovevano farla in due giorni. “Tu sai, e credo per esperienza, come vanno velocemente i vetturini. Ebbene il Papa, temendo che questi facesseso torto alle strade di ferro..., gl’impedisce di venire da Viterbo a Roma in un giorno: strada che abbiamo fatto.... in dieci ore, ma ci è bisognato dividerla in due giorni, altrimenti il vetturino ha dieci scudi di multa e otto giorni di carcere. Evvira il progresso!„ Così scriveva da Roma il Calamatta al Mercuri, il 31 maggio 1844. (Cfr. Vittorio Corucci, L. Calamatta incisore; Civitavecchia, 1886, pag. 161-62). E un mio amico viterbese, confermandomi il fatto, vi aggiungeva solo che lo scopo principale della selvaggia proibizione era quello di favorire l’impresa delle diligenze, tenuta allora da Giuseppe Venier e Liborio Marignoli. Ma, per esser giusti, bisogna anche rammentare, che nel 1834 il ministro Thiers proclamava dalla tribuna francese che le strade ferrate potevano tutt’al più servire di passatempo ai curiosi di una grande metropoli; e bisogna altresì rammentare che nel 35 a Torino, il Consiglio di Stato si opponeva all’istituzione del servizio degli omnibus (i quali vi furono introdotti soltanto dieci anni dopo), principalmente perchè questo genere d’industria era poco in armonia coi princìpi monarchici; quantunque re Carlo Alberto, meno realista de’ suoi consiglieri, “non ravvisasse nulla di pericoloso per la monarchia in queste possibili scarrozzate di nobile dama seduta presso ad umile artigiana.„ A. Manno, nelle Curiosità e Ricerche di Storia Subalpina, vol. V. (Torino, 1883), pag. 245-46.]
  2. [Può essere un effetto.]
  3. [Un carrozzone. V. la nota 2 del sonetto: Er volo ecc. (4), 13 genn. 45.]
  4. [Tacito, perchè non è necessario che il diavolo venga ad accettarlo proprio in persona, bastando perciò l’intenzione dell’altro contraente. — La locuzione è vecchia e comune, come il pregiudizio che rappresenta.]
  5. [Il boccale conteneva poco più di due litri.]
  6. [Come la sento, ve la dico, ve la spiattello. — Scavolà, da càvola, cannella della botte.]
  7. [Dal tempo che.]
  8. [Alle cose della religione, s’intende.]
  9. [Buona un corno. Ma bua, propriamente, a Roma come a Firenze, è una voce del linguaggio fanciullesco, che equivale a “malattia.„]