Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Sonetti del 1843 | 201 |
SENTITE CHE GGNÀCCHERA.1
Io me ne vado dunque in Datarìa.
Me presento a un abbate: “Abbia pascenza,„
Dico, “vorìa du’ righe de liscenza,
Pe’ sposà mmi’ cuggina Annamaria.„2
Disce: “Fijjolo, si3 chiama dispenza.„
“Basta,„ dico, “sia un po’ cquer che sse sia....„
Disce: “E ir zuo nome?„ Dico: “Er mio? Tobbia.„
“E ir casato com’è?„ “Schiatti, Eccellenza.„
“Ggià llei,„ disce, “lo sa:4 ppe’ li cuggini
Ci vò sseiscentonovantotto scudi,
Quarantasei bbajocchi e ttre cquadrini.„5
Figuret’io come me fesce in faccia!
Io credevo tre ggiuli6 iggnud’e ccrudi
Com’er permesso p’er fuscil da caccia.
6 agosto 1843.
- ↑ [Sentite che nacchera, che bagatella!]
- ↑ [È noto che nell’uffizio della Dateria si spediscono tra le altre dispense quelle per matrimonio tra parenti; le quali tanto più costano, quanto è più stretto il grado di parentela che lega gli sposi e quanto più sono ricchi; benchè talvolta per intercessione di persone influenti si faccia grazia di una parte della tassa.]
- ↑ [Dice si, ir zuo nome, ci, invece di se, er zu’ nome, ce, perchè affetta il linguaggio civile dell’abate.]
- ↑ [Questo Ggià llei lo sa fa dell’abate un vero maestro di furberia mercantesca.]
- ↑ [Il bajocco era la centesima parte dello scudo; il quadrino la quinta parte del bajocco.]
- ↑ [Trenta bajoccchi, poco più d’una lira e mezzo delle nostre.]