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176 Sonetti del 1843

LA COMMEDIA DER TROCQUATO.1

     Dunqu’io jerzera, dopp’avé sserrato,2
Cenai, me prese sott’ar braccio Nina,3
Fesce un giretto, eppoi drent’ a Argentina4
A vvedé sta commedia der Trocquato.

     Cristo! un parmo d’ometto,5 un disperato,
Protenne de sgrinfià cco’ la reggina!6
Eh ssi er re lo mannò a la palazzina,
Io s’una forca l’averìa mannato.

     Ma llui ch’er tibbi7 nun j’annò a ffasciolo,
S’appoggiò8 un par de cazzottoni in fronte,
E sse fesce per dio com’un cetrolo.9

     E cquanno aggnéde10 a lliticà ccór Conte?11
A ppenzà come mai quer futticchiolo12
Ciavéva13 sempre le risposte pronte!

5 maggio 1843.

  1. [Del Torquato. Ogni spettacolo teatrale per il romanesco è commedia. E qui forse si tratta del dramma del Duval, sul quale merita d’esser letto, come curiosità politica e letteraria, il parere dato dieci anni dopo dallo stesso Belli, hei mihi... quantum mutatus ab illo...!, alla censura pontificia, che lo richiedeva spesso di tal servigio. Ne ho trovato, come di altri, la minuta tra le sue carte. — “Torquato Tasso di Alessandro Duval. Ricevuto ed esaminato il 29 aprile 1853. - Certo egli è bene che nelle vicende lagrimose del Tasso gl’insidiatori della pace sociale han ravvisato sempre uno de’ più efficaci mezzi per inasprire le avversioni de’ semplici contro i sovrani, e se ne sono assai abilmente valuti con interminabili nenie e querele per travisare in opera di tirannia gli effetti naturalissimi di una passione deplorabile e sconsigliata, che se nulla oscura della letteraria gloria del gran Poeta, non lascia lui però immune da qualche giusta taccia d’ingratitudine verso il suo coronato benefattore. Pericoloso par quindi in genere questo sì trito soggetto, intorno al quale il filantropico zelo de’ susurroni non si scalda già per vivace tenerezza del Tasso, che i più fra gli schiamazzatori o neppur conoscono o neppure intendono, ma sì veramente per imitazione delle smanie giullaresche di chi in Torquato vuol disegnare una vittima sacrificata al fasto e all’ignoranza dei dominatori dei popoli. Nulla di meno il presente dramma, castigato com’è già in molti luoghi dai revisori de’ Governi italiani, non sembra porger presa a rilievi di vaglia; nè il Duca di Ferrara, combattuto fra l’onore della sorella, il decoro della sua corte e l’amicizia pel Tasso, altri sentimenti vi manifesta che di giustizia e moderazione: tali insomma che gli odierni discendenti del di lui sangue non ne abbiano a prendere nè vergogna nè sdegno. Opinerebbe quindi il sottoscritto per la indulgenza, e tanto più in quanto le pur troppo frequenti occasioni di necessaria severità possono consigliare a prevenire ne’ casi più lievi la doglianza che vogliasi far lusso di negative. — Il rispettoso: G. G. B.„]
  2. [Si sottintende: la bottega, o il negozio, ecc.]
  3. [Caterina.]
  4. [Uno de’ teatri di Roma.]
  5. [Il popolano scambia qui ingenuamente l’attore col personaggio.]
  6. [Pretendere di amoreggiare, o meglio, se si potesse dire, amorazzare con la regina! — Duchessa o regina sono tutt’una cosa per lui.]
  7. [Qui, tibbi vale: “punizione, condanna.„ Il Belli nota in altro luogo: “Tutto ciò, che sommamente nuoce o colpisce, può essere un tibbi.„]
  8. [Si diede con violenza.]
  9. [Cetriuolo.]
  10. [Andò.]
  11. [Uno de’ personaggi, che nel dramma figura come nemico del Tasso.]
  12. [Omiciattolo. V. la nota 5.]
  13. [Ci aveva: aveva.]