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Sonetti del 1843 173

L’URION DE MONTI.1

     Ggià cch’er Papa ha vvorzùto indeggnamente2
Fà vvescovo er calonico Tizzani,3
Senza sentìcce prima un accidente
Li su’ poveri fijji montisciani,4

     Bisoggnerà abbozzà,5 naturarmente,
E ppe’ ffàcce vedé bboni cristiani
Sbiggnà vvia tra le scianche6 de la ggente
Co’ l’orecchie a l’ingiù ccome li cani.

     Questa perantro c’è arrivata all’ossa;
E ccom’è vvero er foco de l’inferno,
Er Zanto Padre sce l’ha ffatta grossa!

     E ppoteranno dì ssempr’ar Governo
Li Monti, che jj’è ttocca una gran sbiòssa,7
E li Ternani, ch’hanno vinto un terno.8

17 aprile 1843.

  1. [Il Rione (di) de’ Monti.]
  2. [“Espressione ironica di tal quale umiltà, di cui si fa molto uso.„ Così, altrove, lo stesso Belli.]
  3. [Nato a Roma, il 27 giugno 1809, fu fatto vescovo di Terni nel concistoro del 3 aprile 1843. Ma dopo pochi anni rinunziò, per tornare in patria, sotto Pio IX, col titolo di vescovo di Nisibi in partibus, cappellano maggiore delle milizie papali, ecc. E oggi, benchè cieco, gode di una florida vecchiezza, e dimora tuttavia in Roma, patriarca d’Antiochia, consultore della Congregazione dell’Indice, ecc. Si veda su lui anche la Prefazione, e il sonetto: La festa sua, 5 aprile 39.]
  4. [Montigiani. Perchè il Tizzani, come ho già avvertito nella nota 7 del cit. sonetto, dimorava nella canonica di S. Pietro in Vincoli ai Monti, e così aveva modo di esercitare la sua carità più specialmente verso gli abitanti di quel Rione, che anche adesso gli vogliono bene.]
  5. [Mandarla giù, star zitti.]
  6. [Svignar via tra le gambe.]
  7. [Una gran scossa, una gran disgrazia.]
  8. [Lo stesso giorno 17 aprile 1843, il Belli diresse al Tizzani anche un sonetto italiano, nella chiusa del quale mi par che accenni a futuri rivolgimenti politici e alla speranza di veder papa il suo amico. E un altro ne recitò al banchetto d’addio, che il Tizzani, professore di Storia ecclesiastica nell’Università, ebbe da’ suoi colleghi il 23 del detto mese. Ecco qui il primo soltanto, poichè il secondo non ha nulla di notevole:

         Tu che sinor chiamai fratello e amico
    E fra poco dirò padre e signore,
    Senza temer che il tuo novello onore
    Nulla in te cangi del costume antico,

         Sappi che mentre io laudo e benedico
    La provvidenza del sovran Pastore
    Che t’ha mitrato della età sul fiore
    Caro ai Grandi qual sei, caro al mendico;

         Pur, rimembrando quell’ore gioconde
    Che teco io vissi e il tuo partir mi fura,
    Male ai plausi del labbro il cuor rispondo.

         Benchè non manchi alla molesta cura
    Un più lieto pensier, che si confonde
    Tra i foschi eventi dell’età futura.]