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166 | Sonetti del 1842 |
AR ZOR COME-SE-CHIAMA.1
Disce che vvoi, ch’a cquella pascioccona2
State in prescinto d’infilà ll’anello,
Séte bbono in zur gusto d’un aggnello
E bbello com’un angiolo in perzona.
Ma avete una gran zorte bbuggiarona,
Pe’ la raggione che ssi Iddio, fratello,3
V’ha ffatto accusì bbono e accusì bbello,
Lei puro è bbella bbella e bbona bbona.
Pe’ sta vostra bbellezza e bbontà ddoppia
Quanno ve vederanno avanti ar prete
Tutta la ggente strillerà: “Cche ccoppia!„
Io solo ho da rimane co’ la sete
De vedévve! ché er diavolo me stroppia,4
E mme tiè a Rroma a cciancicà ssegrete!5
19 maggio 1842.
- ↑ Allo sposo di Amalia Bettini, la quale poi nella sua lettera di Bologna 23 giugno 1842 mi scrisse chiamarsi Raffaele Minardi, ed essersi con lui maritata colà il 2 di quel mese. [Sulla Bettini, e sull’amicizia di lei col Belli, si veda, tra gli altri, il sonetto: Er padre e la fijja, 25 sett. 35.]
- ↑ [Donna bella e grassoccia.]
- ↑ [Qui vale: “amico, caro mio, ecc.„]
- ↑ [Forse in que’ giorni egli aveva realmente qualche incomodo alle gambe o ai piedi.]
- ↑ [Le segrete, propriamente, sono “le preghiere che il sacerdote recita a voce bassa nella messa.„ Ma per ironia, si chiamano così anche “le imprecazioni mandate in segreto.„]