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Sonetti del 1841 | 163 |
che so io.] 11 [Chi ha conosciuto la Mazio, mi dice che essa non teneva nessun botteghino del lotto, ma che poteva averlo avuto dal Governo, e poi subaffittato.]
Annotazione al verso 14
[Nell’abbondanza. — L’anno innanzi, il Belli aveva scritto un altro sonetto per questa sua cugina; ma si vede che non l’aveva destinato a far parte della raccolta. E perciò io lo metto qui in nota, insieme coi due in italiano da cui è preceduto, e il secondo de’ quali mi pare veramente un’ingegnosa trovata.
ALLA SIGNORA ORSOLA MAZIO BALESTRA,
nel suo giorno onomastico 21 ott. 1830Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte.
1. — Dedicatoria.
Potete bene immaginar se al caso
Di farvi un sonettin, bella cugina,
Io non sia corso a bere alla piscina
Dove i poeti vanno a empirsi il vaso.
Ma per molto anfanar sovra il Parnaso
Fra que’ numi in ciabatte e in polacchina,
Sin dall’alba di ieri a stamattina
Non ho saputo dove darmi il naso.
In questa circostanza dolorosa,
Ho ricorso in Arcadia a un bifolchetto,
Che mi prestasse qualche verso in prosa.
Ed egli m’ha affittato un bel sonetto,
Ch’io vi presenterò come una cosa
Da consolarvi il cuore e l’intelletto.
2. — Sonetto pasdorale.1
Cindo di raggi e senza nubbi il sole
Oggi risblente in giel più dell’usato,
E l’ore indomo al suo bel gocchio aurato
Indrecciano fra lor liete garole.
La selva, il ruscelletto, il golle, il brato
S’ammandano di gijji e di vïole,
E dejji auggei l’alate famijjole
Saludan questo giorno avvendurato.
Ve’, mendre Febbo abbar dall’orizzonde,
Le ninfe inchirlantate e seni e ghiome
Lasciar l’andrò nadìo la pianda e il fonde.
Salve cend’anni e cendo; e vinde e dome
L’invite Parghe e il tisuman Garonde,
Imbarino a onorar d’Orzola il nome.
Dal Bosco Parrasio, |
- ↑ Fu un mio scherzo, per mettero in beffe la poesia pastorellesca, non che la pronunzia marchigiana.