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Sonetti del 1837 127

LE VITE.

     Che ddisce? Vò pparlà cco’ Mmonziggnore?
Sor abbate mio caro, abbi1 pascenza,
Monziggnore per oggi nun dà udienza
Manco venissi2 ggiù Nostro Siggnore.

     Lui ’ggni sàbbito stà in circonferenza3
Co’ mmonzù Bbuzzarè4 lo stampatore,
Pe’ ffà stampà le vite ch’oggni utore5
Se scrive6 pe’ ddà ggusto a Ssu’ Eccellenza.

     Sto gusto lo sa llui cosa je costa;
Perché, mmo cche lo sanno, spesso spesso
Je spidischeno vite pe’ la posta.7

     Mo la massima è bbell’e stabbilita:
Abbasta che sii nato, ar monno adesso
Chiunque more ha da lassà la vita.

28 ottobre 1837.

  1. Abbia.
  2. Nemmeno se venisse.
  3. In conferenza.
  4. Boulzaler.
  5. Autore.
  6. Si scrive, da se stesso.
  7. Ciò accade continuamente a monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli, uditore della S. R. Rota, il quale stimola quasi ogni italiano che maneggi una penna a scrivere la propria biografia. Morendo poi gli auto-istoriografi, egli ne va pubblicando le vite su tutti i giornali d’Italia. Nuova specie di mecenatismo. [Molto grazioso è anche il seguente sonetto italiano, inedito, che il Belli stesso, in una dichiarazione appostavi il 14 agosto 1828, dice d’aver composto “con espressa intenzione di satirizzare il barocco stile di monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli uditore di Ruota; il quale, oltre al cattivo comporre, recita alla ferrarese, raddoppiando nella pronunzia alcune consonanti semplici, e semplificando altre doppie: cosicchè viene spesso a cadere in suoni equivoci e di vario senso.„ Il so-netto si finge scritto dal Muzzarelli “Per gli augurosissimi sponsali da seguire in Firenze tra la nobile donzella signora Porzia N., col signor cavaliere Domenico N.;„ ed è preceduto da un’epigrafe, la quale, tra le altre cose, avverte che fu riportato da un giornale italiano, “siccome esempio, a chiunque entra in carriera col Cavallo Pegaseo, del vero e bello sonneto italico.„ Alla fine del titolo è inoltre avvertito, che “nella Toscana il nome di Domenico si suole contrarre in Beco.„

         Le dolci notte onde con tanto affeto
    Turbi il sillenzio di tranquila note,
    Trarìan Diogene anch’ei fuor de la bote
    Con la magia d’insollito dilleto.

         E quando i vezi del divvino aspeto
    Apri a le genti travagliatte e rote,
    Da inesprimibil vollutà condote,
    Sentonsi il cuore esillarar nel peto.

         Ah se quel carro al vincitor di Cane
    Riso mostravi che ogni sdegno placca,
    Romma erra salva e il Campidoglio secco.

         Il Ciel ti diè dotti sì bele; or vane
    Deh vane, amatta Dona; o l’amor vacca
    A corronar del tuo tenero Becco.]