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Sonetti del 1837 | 125 |
LA FEDE DE BBONI CUSTUMI.
Ma ccompare! Andrea mia! che ssi’1 ammazzato;
Che ppòzzi2 cascaFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte ffreddo d’accidenti;
E tte sce3 metti a ffà sti comprimenti,
Pe’ avé la fede der lòro attestato?4
La vòi5 la fede su ddu’ piedi?6 Senti:
Tu nun hai da spregacce7 tanto fiato.
Tu vva’ e ddijje accusì:8 “Ppadre curato,9
Fòra10 la carta der boni-viventi.„11
E ssi12 er prete t’azzarda ’na parola,
Si tte fa la caroggna13 e ’r caca-dubbi,14
Dàjje de piccio,15 Andrea: pijjel’in gola.
È ora de finille ste caggnare.16
Abbasta17 ch’un cristiano nun arrubbi,18
De fede ne pò avé cquante je pare.
20 giugno 1837.
- ↑ Che tu sia.
- ↑ Che tu possa.
- ↑ Ti ci.
- ↑ [Lòro, perchè quantunque la fede de’ buoni costumi dovesse farla il curato, pure egli in questo caso rappresentava la polizia, il governo e tutto insomma il clericalume dominante. Siccome poi la fede si chiama anche attestato, il popolano, per non sbagliare, la chiama fede dell’attestato.]
- ↑ La vuoi.
- ↑ Al momento.
- ↑ Sprecarci.
- ↑ Digli così.
- ↑ [A Roma e, credo, anche in altri luoghi, si dà comunemente al curato il titolo di padre, come ai frati.]
- ↑ Fuori: qui subito.
- ↑ Boni viventi, beni viventi boni vivèniti, ecc., cioè: “di buona vita.„
- ↑ Se.
- ↑ Il restìo.
- ↑ Il perplesso.
- ↑ Adunghialo, afferralo.
- ↑ Baronate.
- ↑ Basta.
- ↑ Non rubi.