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Sonetti del 1835 | 81 |
Annotazione al verso 14
[Questo sonetto fu infelicemente imitato; e poichè l’aborto correva per Roma come parto del Belli, egli, per mostrarne tutte le deformità, lo copiò e commentò; ed ecco qui copia e commento, che ho trovato di suo pugno tra le sue carte:
“Come morette quer Rodomontone |
“Sonetto falsamente attribuito a G. G. Belli. Belli crede che non avrebbe mai fatta una simile babbuassagine. Nè è qui la vera lingua del popolo di Roma, nè lo spirito che in queste dipinture si richiede. Il principal pensiero, rubato, vi si esprime in troppo goffa maniera. — Morette e dicette, voci arbitrarie dell’autore. — Der paradiso se n’annò, a Cristo domannò, drento aveva imberto, e portinaro in cambio fo, ecc., contengono trasposizioni tutte estranee alla favella popolare. — Aritrovàne non si può dire. L’aggiunzione della particella ne al fine degl’infiniti de verbi (che tutti debbono terminare in vocale accentuata, rimossa l’ultima sillaba del verbo) appena sarebbe tollerabile nella chiusa di un periodo, fissato dalla pausa del punto. — Il quinto verso è mal fabbricato. Quella specie di ritmo non procede sonante se non ha l’accento sulla quarta sillaba. — Discuperto e temenno dicansi voci che mai non si udiranno dalla bocca di un romanesco, il quale non conosce che scoprì e avé pavura. — Aveva imberto, per aveva ingresso, accoglienza, è frase di tutta invenzione del compositore. Oltrediché vi si desidera espressa l’idea del poter avere ingresso. — L’idea plagiaria espressa nello stocco non conviene al Mencacci, secondo il senso in cui lo stocco è qui preso.„ (Il senso, cioè, di truffa.) “Mencacci non fece stocchi: se si vuole, fece furti. — L’ultimo verso rinchiude la principal prova del plagio. — Cosa povera di ogni spirito e verità. Vedi il mio sonetto di protesta, qui unito: