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68 Sonetti del 1835

ER DISINTERESSE.

     Chiunque spacci che ttutti hanno er dono
De volé mmale ar prossimo, e cch’è rraro
De trovà ggalantommini, è un zomaro,
E ssi1 lo sento io, te lo bbastono.

     Figurete che jjeri er cappellaro
Me dimannò: “Er cappello è ancora bbono?„
Dico: “Sì, pperchè ssempre l’aripóno.„2
Disce: “Bbravo, per dio! l’ho ppropio a ccaro.„

     Poi l’oste disce: “E che vvò ddì? ssei morto?„
Dico: “Er dottore m’ha llevato er vino.„
Disce: “Pòzzi3 morì cchi jje dà ttorto.„

     Un momentino doppo ecchete ggiusto4
Er dottore, e mme fa:5 “Ccome stai, Nino?„6
Dico: “Bbenone;„ e llui: “Quanto sciò7 ggusto!„

10 gennaio 1835.

  1. Se.
  2. Lo ripongo.
  3. Possa.
  4. Eccoti appunto.
  5. Mi dice.
  6. [In romanesco, tutti i nomi personali maschili che prendono la desinenza vezzeggiativa in ino, come Ghetanino, Giuvannino, ecc., possono accorciarsi in Nino, dal quale si forma poi Ninetto e Ninaccio. Nina invece è, nell’uso comune, accorciamento di Caterina soltanto.]
  7. Ci ho.