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66 Sonetti del 1835

LA CALAMISVÀ1 DE VALLE.2

     Disceva er zor Micchele Mitterpocche3
Ner butteghino4 ar coco de Lavaggi:5
“Er mastro de cappella Fontemaggi6
Ha scritto pe’ li galli e ppe’ le bbiòcche.7

     Manco in Turchia tra ll’ommini servaggi8
Se pò ssentì ccanzone accusì ssciocche;
Ché le sue nun zo’9 mmusiche da bbocche,
Ma mmotivi da rote de cariaggi.10

     Inzino er zor Giuvanni l’impressario,
Si llui je straccia l’àpica,11 o ssi mmore,
Je vorìa12 rigalà mmezzo salario.

     Ma de c...i!13 er ziggnor compositore
Nun zente lègge,14 e ccrede nescessario
De dà ll’opera sua pe’ ffasse15 onore.„16

9 gennaio 1835.

  1. Canto da Ebrei. [Ecco l’origine dello strano vocabolo. — Quando il mandataro (V. la nota 1 del sonetto: Er zoffraggio, 8 dic. 32) della Compagnia Israelitica della Morte, per le strade del Ghetto, con in mano un bussolotto di ferro per raccogliervi le elemosine, precedeva i convogli funebri; a brevi intervalli, in tono lento e patetico, andava gridando: zedacà! la mizvà! La prima di queste parole ebraiche significa elemosina; la seconda (mizvà), a cui è stato appiccicato il nostro articolo la, significa propriamente precetto religioso, ma per estensione, almeno tra gli Ebrei di Roma, convoglio funebre. Sicchè il grido del mandataro era un’esortazione a far l’elemosina pel morto e insieme ad accompagnarlo. E infatti, a quel grido, le donne si affacciavano alle finestre e gettavano giù il loro obolo, mentre gli uomini, uscendo dalle botteghe, lo deponevano da sè nel bussolotto, e poi si accodavano al convoglio, seguendolo ordinariamente fino alle porte del Ghetto.]
  2. Il teatro dell’opera buffa.
  3. Michele Mitterpoch, ministro della dispensa de’ biglietti. ecc.
  4. L’uficio di dispensa.
  5. Il banchiere di questo nome.
  6. Il signor Giacomo Fontemaggi, romano, tanto buon cristiano quanto esimio maestro di cappella, stava da un mese bastonando regolarmente la moglie e i figli, perchè digiunassero e pregassero Iddio pel buon esito della sua Testa di bronzo. Questo è il titolo di un dramma di Felice Romani, ornato dal Fontemaggi colle sue inspirazioni musicali, togliendone le parole da un altro lavoro armonico precedente al suo. Il nostro Orfeo è figlio di altro melodista della stessa tacca; al servizio del musicissimo cardinale Giuseppe Albani, testè mancato ai vivi e alla musica. La Eminenza Sua, vivendo, impose quasi autorevolmente all’impresario Giovanni Paterni il flagello del melodramma qui encomiato.
  7. [Le chiocce.]
  8. Selvaggi.
  9. Non sono.
  10. Carriaggi.
  11. Apoca.
  12. Gli vorrebbe.
  13. Ma inutilmente.
  14. Non sente legge.
  15. Per farsi.
  16. [Niente più che una variante di questo sonetto è quest’altro in italiano, che il nostro Poeta scrisse lo stesso giorno 9 gennaio 1835, e di cui fece parecchie copie, con l’intenzione, si vede, di distribuirle agli amici:

         Caro signor Michele Mitterpocche.
    Ella che può goder tutti li saggi,
    Dica: il signor maestro Fontemaggi
    Per chi ha scritto? pei galli o per le biocche?

         Narrano che neppur fra li selvaggi
    S’udrebber cantilene così sciocche,
    E le sue, più che musiche da bocche,
    Sien motivi da ruote di carriaggi.

         Dica di grazia: è ver che l’impresario,
    S’egli rescinde l’apoca, o se muore,
    Gli voglia regalar mezzo salario?

         E che invece il signor compositore
    Abbia creduto e creda necessario
    Di dar l’opera sua per farsi onore?]