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Sonetti del 1836 421

senza appoggiatura, de’ Romaneschi.„ Da una lettera del mio povero amico F. Santini.]      5 [È vero che cardinali e papi si fanno per lo più ritrattare con un memoriale in mano: ridicola usanza, che mostra in costoro la boria di far pompa della propria grandezza. Certo non la pensava così, chi disse che quando si benefica, la mano sinistra non deve vedere ciò che fa la destra; ma i preti, anche in effigie, han trovato modo di rinnegare il Vangelo.]      6 È uso di Roma che alle îmmagini dei defunti cardinali protettori, i luoghi protetti facciano cambiare la testa, sostituendovi per economia quella del successore.      7 Un zerbinotto.      8 Lo lasci stare.


L’OMO DE MONNO.

     Le conosco per aria io le perzone,
E nnu’ le porto in groppa,[1] nu’ le porto.
Scusateme, er discorzo è ccorto corto:
Chi ffa er birbo, io [lo] tièngo pe’ un briccone.

     Nun zo,[2] ppenzerò mmale, averò ttorto,
Fórzi[3] me sbajjerò, sarò un cojjone,
Ma mmé la stiggnerebbe[4] viv’e mmorto
Che ll’omo è ffijjo de le propie azzione.

     Io ve parlo da povero iggnorante,
Perché ccredo ch’ar monno l’azzionacce
Siino sempre l’innizzio[5] der birbante.

     Nun c’è bbisoggno d’èsse[6] ito a scola,
Pe’ ddì cche ssi[7] oggni cosa tiè[8] ddu’ facce,
L’omo de garbo n’ha d’avé una sola.

20 marzo 1836.



  1. Non le adulo.
  2. Non so.
  3. Forse.
  4. La sosterrei tenacemente.
  5. L’indizio.
  6. D’essere.
  7. Se.
  8. Tiene: [ha].