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Sonetti del 1835 345

L’ABBOZZÀ[1] DE LI SECOLARI.

     Stamo ubbidienti, rispettosi, quieti,
Contenti prima e ppiù ccontenti doppo,
Tutto quer che vve pare; ma li preti,
Sor don Craudio, da noi ne vònno troppo.

     So’ ttroppi[2] farisei, tropp’indiscreti,
Ner parlà vvanno troppo de galoppo,
Hanno troppe bbuscìe,[3] troppi segreti,
So’ ttroppi deggni d’assaggià lo schioppo.

     Ma ssi[4] cc’è in paradiso un Padr’Eterno,
Lòro a sto monno sce li tiè ppe’ sseme
De le rape dell’orto de l’inferno.

     Cos’è? ccosa ve dite, sor don Craudio?
Anneremo a l’inferno tutti assieme?
Ebbè, mmale cummune è mmezzo gaudio.

3 ottobre 1835.

  1. La sofferenza.
  2. Sono troppo ecc. In tutti i casi la parola troppo è dai Romaneschi accordata in genere e numero col nome a cui va congiunta. Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte
  3. Bugie.
  4. Se.