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270 | Sonetti del 1835 |
QUER CHE CCE VÒ, CCE VÒ.1
1.
Eh ppovera siggnora, lei sce2 prova,
Ma ar cassettino lui3 sce tiè4 l’abbiffa.5
Dunque com’ha da fa? Ccerca; e ssi6 ttrova
Er pollastrello7 da fà er trucchio,8 aggriffa.9
Poi, malappena10 ha quarche ccosa nova,
Disce ar marito ch’ha vvinto una riffa;
E llui, sce credi o nno,11 sempre je12 ggiova
De fà l’indiano e dd’ingozzà la miffa.13
Ma ssai che ppasto-nobbile14 è l’amico!15
A llui j’abbasta de nun spenne ggnente,16
E dder restante17 nun j’importa un fico.
Lo capissce lui puro18 ch’er zervente
Vorà li su’ filetti19 all’uso antico;
Ma, avènnoli20 anche lui, tasce e acconzente.
1 settembre 1835.
- ↑ Quel che ci vuole ci vuole.
- ↑ Ci.
- ↑ Lui, così assolutamente detto, vale: “il padrone.„
- ↑ Ci tiene.
- ↑ [L’abbiffa, o la biffa, significa i sigilli che si mettono giudizialmente per sequestri e simili. E il verbo biffà, l’azione del metterli.]
- ↑ Se.
- ↑ “Un giovanetto di primo pelo,„ ovvero “un uom semplice.„
- ↑ Il truccio, [il trucco, il colpo].
- ↑ Aggriffare, o colpir di griffo, è nel giuoco delle bocce il colpo dato alla palla contraria senza aver prima toccata la terra colla propria.
- ↑ [A mala pena: appena.]
- ↑ Ci creda o no.
- ↑ Gli.
- ↑ La menzogna.
- ↑ Quale uomo scaltro.
- ↑ È colui.
- ↑ A lui basta il non ispender nulla.
- ↑ E del resto.
- ↑ Egli pure.
- ↑ I suoi profitti.
- ↑ Avendoli.