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Sonetti del 1835 | 221 |
LA FAVOLA DER LUPO.
C’era una vorta un lupo, che sse messe1
Una pilliccia e ddiventò ppastore,
Tarmentechè le pecorelle istesse
S’ainàveno2 a ubbidillo e a ffàjje onore.
Ma un canóne mastino, che pper èsse3
De ppiù bbon naso lo capì a l’odore,
Cominciò a ddì a l’orecchia a cquelle fésse:4
“L’amico è llupo, e vvò mmaggnavve er core.„
Le pecore strillòrno a ppiù nun posso;
Ma er lupo pe’ ccarmà la ribbijjone,
Mostrò li denti e tté je diede addosso.
Che ffesceno ste pecore frabbutte?5
Disseno: “Er cane, er cane è er zussurrone:„
E llì, d’accordo, a mmozzicallo tutte.6
3 giugno 1835.
- ↑ Si mise.
- ↑ Si affrettavano premurosamente.
- ↑ Per essere.
- ↑ Sguaiate.
- ↑ [Farabutte]: disleali.
- ↑ [Il Poeta vuol colpire quella non piccola parte di popolo e di plebe (pecore), che dopo aver prestato orecchio a ciò che il partito liberale (cane mastino) andava dicendo contro il Papato (lupo), e dopo aver preso parte più o meno attiva ai tentativi fatti per rovesciarlo, falliti questi, si rivoltò contro i liberali, per rimettersi nelle grazie del Governo.]