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126 | Sonetti del 1835 |
LA SPÓSA1 DE PÈPP’ANTONIO.
Lei sia puro2 cór gruggno sbrozzoloso,3
Vecchia com’er cuccù4 cquanto tu vvòi:
Pe’ ggamme abbi du’ zzèrule:5 ma ppoi?
Pèpp’Antonio pe’ llei sempre è lo spóso.
Hai mai visto li tori a li procoj?
Un toro, Annuccia, dammelo ggeloso
De la su’ vacca, è affare assai scambroso6
Volé ffàllo7 penzà ccome che nnoi.
Accusì è ll’omo. Dunque Pèpp’Antonio,
Che sse la vedde8 stuzzicà da quello,
J’aggnéde9 addosso e ddiventò un demonio.
Se sa,10 ll’ommini porteno er cortello;
E essennosce11 de mezzo er madrimonio,
Sce fu da fà e da dì ppe’ trattenello.12
1 febbraio 1835.
- ↑ Spósa, spóso, colla o stretta.
- ↑ Pure.
- ↑ Bernoccoluto.
- ↑ [Come il cuculo. Forse perchè il cuculo comune, sotto il mento e in tutto il collo, è di color grigio chiaro. — Leggendo le Rane di Aristofane fatte meravigliosamente italiane da Augusto Franchetti (Lapi editore, 1886), in una nota del Comparetti a pag. 121, ho trovato che l’uso volgare greco aveva la voce cucù, per “segnare altrui, singolarmente a più persone, il giusto momento di lasciar andare, di partire in corsa ecc., come il nostro uno, due, tre!„ E allora, ricordandomi che a Roma, a Firenze e in tanti altri luoghi, nel fare a nasconderella, chi di nasconde, grida cuccù per avvertire quelli che devono cercarlo, m’è passato pel capo il sospetto che il romanesco vecchio com’er cuccù potesse riferirsi al gioco fanciullesco. Ma la cosa mi par poco probabile, soprattutto perchè nè a Roma, nè altrove ch’io sappia, questo gioco non si chiama cuccù. A Roma si chiama nisconnarello; e nascondarello o na- scondarella si chiama anche a Firenze, benchè manchi ai vocabolari, compreso il Rigutini-Fanfani, il quale dà invece per fiorentino il pistoiese rimpiattìno.]
- ↑ Zèrula sarebbe come a dire: “una gamba a zigzag.„
- ↑ Scabroso.
- ↑ Voler farlo.
- ↑ Se la vide.
- ↑ Gli andò.
- ↑ Si sa.
- ↑ Essendoci.
- ↑ Per trattenerlo.