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112 Sonetti del 1835

LA MOJJE INVELENITA.

     E mmo adesso in che ddà st’antra1 scappata
De schiaffeggià cquer povero innoscente?
No, nun è vvero, nun ha ffatto ggnente:
Séte voi che pparete spiritata.

     Ve lo dich’io ch’edè,2 ssora Nunziata.
Voi stasera ve passa pe’ la mente,
Quarche ggrilletto de svejjà la ggente
E ffàlla corre3 sù cco’ la chiarata.4

     Sai che rraggione hai tu? ch’a mmé mme5 piasce
De fà ppubbriscità mmeno che pposso.
E vvive6 li mi’ ggiorni in zanta pasce.

     Ché ssi nno, vvorìa datte7 un cazzottone,
Bbellezza mia, da stritolatte8 l’osso
De quer brutto nasaccio a ppeperone.

24 gennaio 1835.

  1. [In che dà: cosa vuol dire] quest’altra.
  2. Che è.
  3. E farla correre.
  4. [Perchè con la chiarata, cioè con la chiara d’uovo sbattuta, si medicano le percosse o le ferite.]
  5. A me mi. Queste due varietà di un medesimo pronome pronunciandosi dalla nostra plebe nello stesso modo, abbiamo adottato il sistema di accentuare il vocabolo allorchè significa me, e lasciarlo semplice quando sta per mi. Così facciamo pel te e ti.
  6. Vivere.
  7. Chè se no (altrimenti), vorrei darti, ecc.
  8. Stritolarti.