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424 Sonetti del 1834


ER ZOR GIUVANNI DÀVIDE.

2.

     Un ladro che sse1 ttrovi, poverello,
Cór laccio ar collo e ’r boja su le spalle,
2 in quer punto j’annassi pe’ le palle
La vojja3 de cantavve4 un ritornello,

     Sarebbe un zuccherino appett’a cquello
Che ccanta adesso da tenore a Vvalle,
Co’ ccerte note sue d’assomijjalle
Ar chiùdese e a l’uprisse5 d’un cancello.

     E llui, che ssa in cusscenza quer che vvale,
E, ppe’ cquanto s’ajjuti a rregolizzia,6
Trema pe’ la staggion de carnovale,

     Co’ cchi jj’arimettesse7 er fiato in bocca
Sce spartirìa8 d’accordo e de ggiustizzia
Li du’ mila scudacci che sse9 scrocca.

10 novembre 1834


  1. Si.
  2. Se.
  3. Gli andasse per le palle la voglia, gli saltasse il ticchio.
  4. Di cantarvi.
  5. Al chiudersi e all’aprirsi.
  6. [Liquirizia. Ma anche in Toscana la gente meno civile dice regolizia, associandoci, come si vede, l'idea di regola.]
  7. Gli rimettesse.
  8. Ci spartirebbe.
  9. Si