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Sonetti del 1834 | 267 |
Da rimettere. 9 [In quell']incastro: in quelle peste. 10 Non ci si può essere. 11 Un altro. 12 Che gli pigli: al quale prenda, ecc. 13 Di mettersi.
LA FATICA
Nun te senti a ssonà cche st’angonia1
Da l’abbati cór furmin’a ttre ppizzi:2
“Fijji, trovate a ffaticà, ppe’ vvia3
Che ll’ozzio è ’r padre de tutti li vizzi.
Loro4 penzino a ssé: ppe’ pparte mia
Io l’aringrazzio de sti bboni uffizzi.
Io er giorno accatto,5 e ppo’ a la vemmaria
Pe’ ddormì, a Rroma, sce sò bboni ospizzi.6
Jeri anzi un prete ch’è ssempr’imbriaco7
Me fesce:8 “Ar manco,9 fijjo mio, lavora
Pe’ ammazzà er tempo.„ Ma io me ne caco.
E jj’arispose:10 “Sor don Fabbio Sponga11
Ammazzatelo voi, perch’io finora
Vojjo la vita che mme pari12 longa.„
9 aprile 1834
- ↑ Agonia. “Non ti senti che a ripetere questo mal suono„, ecc.
- ↑ Fulmine a tre pizzi: il cappello triangolare de’ preti.
- ↑ Poichè.
- ↑ Eglino.
- ↑ Accattare, per semplicemente questuare.
- ↑ Ci sono buoni ospizi. V’è quella fondato dalla matrona romana S. Galla, della famiglia degli Odescalchi, il nome della qual santa difficilmente giungerà a farsi assumere da alcun’altra matrona. Galla qui equivalendo a “civetta, pettegola.„
- ↑ Ubbriaco.
- ↑ Mi disse.
- ↑ Almeno.
- ↑ Gli risposi.
- ↑ Sponga (spugna): colui che succia assai vino; ubbriacone.
- ↑ Mi paia.