Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/19


Sonetti del 1833 9

LA REGAZZA DE PEPPE.[1]

     Ma lo sai de cuer cefolo[2] de Peppe?
Nun z’è incazzito[3] appresso a cquella zozza[4]
Più ppeggio d’un turaccio de tinozza?
Io m’intese[5] ggelà cquanno lo seppe.[6]

     Cià una scrofola in gola che la strozza;
Un fiato che jj’odora de ggileppe,[7]
E un petto, un petto poi, che ssan Giuseppe
Je sc’è ppassato sù cco’ la pianòzza.[8]

     Tiè ssott’ar collo un par de catenacci[9]
Che sse potrebbe chiudesce[10] una stalla.
Bbravo Peppetto mio! bbon pro jje facci.

     Er gnocco j’ha ccrompato[11] una casuppola,
E cquanno ciaverà[12] speso una spalla,[13]
Si ll’appesta, je dii de bbarb’ in cuppola.[14]

Roma, 17 febbraio 1833.

  1. La innamorata di Giueppe.
  2. Babbaccio.
  3. Perduto.
  4. Sozza.
  5. Intesi, per “sentii.„
  6. Seppi.
  7. Giulebbe.
  8. Pialla.
  9. Le clavicole.
  10. Chiuderci.
  11. Comperano.
  12. Ci avrà.
  13. Spendere una spalla: spendere quasi tutto il suo.
  14. [Dar di barba a uno: "superarlo in checchessia,,, o anche "farlo stare eFonte/commento: ec dovere.„ Ma in quest'ultimo senso non s'usa, credo, altro che ironicamente, e spesso con l'aggiunto scherzoso di cuppola: aggiunto che vi si mette per la identità della prima sua sillaba con la prima d'un'altra parola, che è meglio non dire. Quindi, je dii de barb’ in cuppola è come se dicesse: “Vada a ricorrere al giudice della farina.„ o, in altri termini, “non potrà far nulla contro di lei.„]