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176 | Sonetti del 1834 |
L’ETÀ DELL’OMO.
Sarà ppoi tutto vero, eh sor Giuvanni,
Quello che cciariccónteno1 li preti
Ch’un giorno li padriarchi e li profeti
Sapeveno campà nnovescent’anni?
Dunque, o allora nun c’ereno malanni,
O cqueli vecchi aveveno segreti
Pe’ rrestà ssempre ggioveni. Ma cquieti,2
Perch’oggi st’arte farìa3 troppi danni.
Damme4 de fatti un fijjo a la ssediola5
De scinquant’anni, e ppe’ ddì un tempo corto,
Mànnelo6 de scent’anni ancora a scola;
Va’ a sperà, cco’ st’esempi, in ner conforto
Che ccrepi un papa che tte pijja in gola;
Va’ a ffà ddebbiti allora a-ttata-morto!7
14 marzo 1834.
- ↑ Ci raccontano.
- ↑ Ma silenzio.
- ↑ Farebbe.
- ↑ Dammi.
- ↑ Il comodo [la seggetta] de’ fanciulli.
- ↑ Mandalo.
- ↑ Si costuma da figli viziosi di contrarre dei debiti da soddisfarsi alla morte de’ padri: ciò dicesi “far debiti a-tata-morto.„ [Come in tanti altri casi, il Belli anche qui ignorava che la locuzione romanesca ha la sua perfetta corrispondente in fiorentino (“a babbo morto„) e forse in tutta Italia. Ma il difetto, più assai che a lui, va attribuito a quegl’insigni monumenti d’ignoranza e di cocciutaggine, che sono tutti i vocabolari italiani, non condotti secondo il concetto manzoniano. Il povero Belli sudò sangue sopra i così detti classici, ed empì d’innumerevoli postille ogni pagine de’ due grossi volumi del Dizionario del Cardinali: e con tutto ciò, anzi in gran parte a cagione di ciò, rimase molto ignorante della vera lingua italiana: rimase, cioè, poco peggio di come staremmo tutti, finchè non sia compilato l’intero Vocabolario dell’Uso fiorentino e non sia tradotto negli altri vari idiomi italiani.]