Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/120

110 Sonetti del 1833


LI PADRONI SBISBÈTICHI.1

     Lui la intenne2 accusì? Ddajjela vinta:
Tanto co’ llòro er repricà nnun vale.
Tanto come che ffai, sempre fai male.
Li padroni so’3 ttutti d’una tinta.

     Ppiù4 dder mio? Disce: “Scerca a Ggrotta-pinta,5
Nummero tale, er carzolaro tale,
E ddijje che mm’allarghi sto stivale,
E cche ggià cquesta che mme fa è la quinta.„

     Io curro,6 vedo s’una porta nova
Scritto Bottierre,7 che vvo ddì8 bbottaro,
Torno a ppalazzo, e ddico: “Nun ze9 trova.„

     E llui s’infuria, me dà dder zomaro,
Me sbatte in faccia una manata d’ova,
E pprotenne10 che llì cc’è un carzolaro.

16 novembre 1833.

  1. Bisbetici.
  2. Intende.
  3. Sono.
  4. [Qui vale: “peggio.„]
  5. Luogo di Roma.
  6. Corro.
  7. Bottier. Non sono pochi i bottegai di Roma e d’Italia, che abbiano il vezzo di annunziarsi agli occhi del pubblico in lingua straniera, che poi caricano di spropositi.
  8. Vuol dire.
  9. Non si.
  10. Pretende.