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Sonetti del 1833 419

freddi come di una parrucca di ghiaccio.      8 Lo sbattimento degli ossi dei ginocchi l’un contro l’altro. [Sottintendi: è modo che ecc.]?      9 Per dia: invece di per dio. Transazione tra il vizio e lo scrupolo.      10 Sei ignudo, se pure avessi ecc.


ER CALLO.

     Uff! che bbafa1 d’inferno! che callaccia!
Io nun ho arzato un deto2 e ggià ssò3 stracca:
oh cche llasseme-stà!4 ssento una fiacca,
che nnun zò bbona de move5 le bbraccia.

     Sto nnott’e ggiorno co’ li fumi in faccia,
sudanno6 a ggocce peggio d’una vacca;
che inzino la camiscia me s’attacca
su la pelle. Uhm, si ddura nun ze caccia.7

     Ho ttempo a ffamme8 vento cór ventajjo,
a bbeve9 acqua e sguazzamme10 a le funtane:
è ttutto peggio, perchè ppoi me squajjo.

     P’er maggnà, ccrederai? campo de pane.
E nnun te dico ggnente der travajjo
de ste purce,11 ste mosche e ste zampane.12

Roma, 7 febbraio 1833

  1. Afa.
  2. Alzato un dito.
  3. Sono.
  4. Il lassame stà (lasciami stare) è quella mala voglia che nasce da lassitudine.
  5. Muovere.
  6. Sudando.
  7. Non si cava, cioè: «non se ne esce vittoriosi».
  8. Farmi.
  9. Bere.
  10. Sguazzarmi.
  11. Pulci.
  12. Zanzare.