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390 Sonetti del 1833

UNA BBELLA MANCIA

     M’ha rriccontato Rosica, er curzore
Che sta ddrent’ar Governo1 a ppian-terreno,
Ch’er zoppo a cquella che cce fa l’amore
J’ha ddato una propina de veleno.2

     Freghelo, Ggesù Cristo Nazzareno
Unico Siggnor nostro redentore!
Che ppropine der c....! è mmejjo a ffieno,
A ppajja, a ttorzi:3 armanco4 nun ze more.

     Pènzete5 a st’animaccia bbuggiarossa6
Si cche proscessettaccio sopraffino
Li preti te j’inzubbieno7 nell’ossa!

     Penza si mmastro Titta ombrellarino,8
Co’ la pìrola9 sua de cina-grossa10
Nun je farà ppassà ttutto er morbino!11

Roma, 24 gennaio 1833.

  1. Palazzo del criminale.
  2. Propinato veleno.
  3. [Torsi, torsoli.]
  4. Almanco.
  5. Pènsati.
  6. Alterazione di un vocabolo osceno, nell’intenzione di mitigarne la oscenità.
  7. Insubbiare, da subbia.
  8. Così chiamasi volgarmente in Roma il carnefice della Legge. L’attuale esercita il mestiere d’inverniciatore di tele per ombrelle ordinarie. [Anche nell’ultima nota del sonetto: Er dilettante ecc., 29 agosto 35, il Belli dice che ogni carnefice è dai Romani chiamato mastro Titta.„ Ma i Romani d’allora lo chiamavano così, perchè Giambattista Bugatti (Titta è accorciamento di Giambattista) fu appunto il loro boia, dal 22 marzo 1796, giorno in cui, giovavanissimo ancora, impiccò e squartò in Foligno un Niccola Gentilucci grassatore e assassino, fino al 17 agosto 1864, in cui tagliò la testa in Roma a un Olietti e a un Demartini, rei d’omicidi, come avverte il Bugatti stesso nelle Annota- zioni delle Giustizie da lui eseguite. Le quali Annotazioni, nell’edizione dell’Ademollo (Le Giustizie a Roma, pag. 110-125), fatta sopra un esemplare incompleto, vanno dal 1796 al 1810. Ma in una copia del funebre registro, ricavata, com’è avvertito nel frontespizio, dall’originale, e posseduta dal signor Giuseppe Luigioni, che l’acquistò subito dopo la morte del Bugatti insieme con altri oggetti a lui appartenuti, vanno invece, come ho detto, fino al 17 agosto 1864; e il numero dei giustiziati da questo Nestore de’ carnefici non è di soli 339, come risulterebbe dall’esemplare dell’Ademollo, ma di 517: meno uno, che fu impiccato e squartato dall’aiutante, e un altro, che fu fucilato, ma a cui il Bugatti tagliò poi la testa, per portarla ed esporla a Collepiccolo, luogo del delitto, distante miglia 46 da Roma. E vero però che, pensionato il Bugatti dopo l’agosto del 18G4, i Romani, e tutti, credo, i sudditi dello Stato pontificio, continuarono a chiamar mastro Titta il suo successore; e anche oggi ogni boia è da loro chiamato cosi; né è improbabile che il meritato onore di questa antonomasia cominciasse per il Bugatti anche prima del termine della sua lunghissima e operosissima carriera. Egli era nato in Roma, e vi morì il 18 giugno 1869, in età di 90 anni, come ho rilevato dal Libro IX dei Defunti, pag. 89, della Parrocchia di S. Maria in Traspontina; e un altro esemplare delle sue Annotazioni, scritto evidentemente di tutto suo pugno, è posseduto da L. A. Vassallo, che lo acquistò con altre carte appartenute all’ultimo Direttor generale della polizia pontificia. Ma anche questo esemplare è incompleto, perchè arriva al numero di 406 giustiziati, cioè fino al 1° luglio 1847: dopo il qual giorno, e se ne intende facilmente il perchè, il Bugatti stette in riposo fino al 10 sett. 1851, in cui, secondo la copia Luigioni, riprese l’esercizio della sua professione, e per molto tempo ebbe un gran da fare co’ compromessi del 48 e 49, parecchi de’ quali morirono impenitenti, recando scandalo, con bestemmie continuate.]
  9. Pillola.
  10. Cinoglossa, o lingua-di-cane, erba medicinale.
  11. [Ruzzo.]