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17 | Sonetti del 1832 |
ER CORONARO.
Ma cche tte vai freganno1 vemmarie
E ppaternostri pe’ infilà ccorone!
Passò cquer temp’Enea der re Ddidone:
Oggi è ttempo d’uprì fforni e osterie.
Da quanno ch’è vvienuto Napujjone,
Uffizzioli, rosari e llettanie,
Le donne l’hanno mess’in d’un cantone
E nun penzeno ppiù cch’a cciafrerie.2
Fiori, occhiali, smanijji, orloggi, anelli,
Pennenti, farpalà, ppettini, veli,
Fittuccie, e ccappelloni com’ombrelli!
Senza statte a ccontà3 ttutti li peli,4
Che so5 de li paìni,6 poverelli,
Che mmoveno a ppietà li sette sceli.
10 gennaio 1832.
- ↑ Qui nel senso di “fare.„
- ↑ Bagatelle.
- ↑ Contare per “numerare;„ poichè per “narrare„ dicesi dai Romaneschi solamente raccontare.
- ↑ [Le scioccherie.]
- ↑ [Che io so.]
- ↑ [Paìno qui corrisponde a quel che i Fiorentini, forse per antifrasi, chiamano logica; ma si estende anche a significare “qualunque persona vestita con cittadinesca eleganza,„ e se ne forse paìna, painetta, painerìa e impainàsse (impainarsi), voci in uso anche nell’Umbria.]