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222 Sonetti del 1832

LE CASE.

     Sin da cuanno me venne la sdiddetta,1
Vado in giro pe’ ccase ogni matina:
E nn’averebbe trove una ventina,
Ma a tutte cuante sc’è la su’ pescetta.2

     Cuella che sse sfittò jjeri a Rripetta,3
È un paradiso, ma nun c’è ccuscina,
L’antra c’ho vvisto mo a la Coroncina4
Ha una scala a llumaca stretta stretta.

     Una a Ppiazza Ggiudia5 serve ar padrone.
Le dua in Banchi,6 nun c’è ttanto male,
Ma jje vònno aricresce la piggione.

     La tua è ppoca: cuella ar Fico7 è ttroppa...
Bbasta, nun trovo un bùscio pe’ la quale,8
E sto ccome er purcino in de la stoppa;9
              
Perchè er tempo galoppa,
E ssi ccase sò a Rroma, o bbelle, o bbrutte,
Cuante n’ha ffatte Iddio l’ho vviste tutte.

Roma, 7 dicembre 1832.

  1. Disdetta: quell’atto legale di diffidare i pigionali al termine del fitto, affinchè per patto tacito non si riconduca.
  2. Pecetta: è quel tassello che ricopre un vizio nella superficie di checchesia; qui in senso traslato, “pecca, eccezione„, ecc.
  3. Il minor porto del Tevere.
  4. Contada tra i Fori Traiano e Romano.
  5. Piazza Giudea, su cui è patente la principale porta del Ghetto degli Ebrei.
  6. Contrada presso la Mole Adriana, così detta dall’adiacente Banco-monetario dell’Ospedale di S. Spirito, in Sassia.
  7. Piazzetta non lungi dal Foro Agonale.
  8. Per la quale: nel gergo romanesco vale “non adatto, non conveniente.„
  9. Proverbio indicante imbarazzo.