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Sonetti del 1832 207

LI FIJJI IMPERTINENTI.

     Checco, la vòi finì? Fferma, Sceleste:1
Toto,2 mo vviengo llà: zzitta, Nunziata.
E cche ddiavolo mai! forcine, creste!3
Nenaccia,4 dico!5 a tté, ffuria incarnata!

     Jèso!6 e cch’edè, Mmadonna addolorata!
Se discorre7 che ggià ttiengo du’ teste!
Ma ddate tempo ch’aritorni tata,8
E vv’accommido er corpo pe’ le feste.

     Io dico ch’è una cosa, ch’è una cosa,
Che cce vorìa la fremma de li Santi:
Nun s’ariposa mai, nun s’ariposa!

     Li sentite bbussà l’appiggionanti!9
Volete fà svejjà la sora Rosa,
Che Ccristo v’ariccojji a ttutti cuanti?!

Roma, 4 dicembre 1832.

  1. Celeste.
  2. [Antonio o Teodoro.]
  3. [Irrequieti, birichini ecc.]
  4. Nena, accorciativo di Maddalena.
  5. [Se qui il punto ammirativo non è uno scorso di penna, l’autore deve aver voluto indicare quell’enfasi con cui, in casi simili, si pronunzia il dico; ma, se questa fu la sua intenzione, bisognava anche avvertire che l’o va allungato fino a congiungerlo quasi con l’a tté seguente.]
  6. [Gesù è la forma comune, ma per l’esclamazione si usa spesso questa forma più latina.]
  7. [Si discorre: basti dire.]
  8. [Il babbo.]
  9. Ne’ casi di soverchio romore sogliono gli abitanti inferiori percuotere il soffitto con un bastone.