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Sonetti del 1832 | 151 |
LE SPILLE.
Chi ddà una spilla a un antro che vvò bbene,1
Se perde l’amiscizzia in pochi ggiorni.2
Er zangue je se guasta in de le vene,3
E vvatte a rripescà cquann’aritorni!4
Si sso’ sgrinfi,5 principieno le pene:
Si sso’ spósi, cominceno li corni:
E ggià in un mese de ste bbrutte scene
N’ho vviste cinqu’o ssei da sti contorni.
Ne li casi però ch’in testa o in zeno
D’appuntavve un zocché,6 ssora Cammilla,
Nun potessivo fanne condimeno,7
A cquela mano che vve vò esibbilla8
Dateje, pe’ ddistrugge sto veleno,
’Na puncicata9 co’ l’istessa spilla.10
Roma, 27 novembre 1832.
- ↑ A cui vuol bene.
- ↑ La sintassi degli antecedenti due versi dia un saggio della reale de’ Romaneschi.
- ↑ Guastarsi il sangue verso di alcuno, vale: “prenderlo in odio.„
- ↑ Vatti a cercare quando ritorni a salute.
- ↑ Amanti.
- ↑ Un non-so-che.
- ↑ Farne a meno.
- ↑ Vuole esibirla.
- ↑ Puntura.
- ↑ [Questo curioso pregiudizio l’hanno anche molte donne che non sono femminette.]