Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Sonetti del 1832 | 137 |
LA MADRE DER CACCIATORE.
E ssempre, Andrea, sta bbenedetta caccia,
Co’ sti compagni tui priscipitosi!
Oggi sei stato inzino a Mmonterosi,1
E stanotte aritorni a la Bbottaccia!2
A mmé nnun me parlà de sti mengósi,3
De st’archibbusci tui senza focaccia.4
Sai che sso io? che ffai troppa vitaccia:
Sai che mme preme a mmé? che tt’ariposi.
Un giorno a ttordi, un antro a ppavoncelle,
Mo a bbeccacce, mo a llepri, mo a cignali...5
Ne vòi troppo, ne vòi da la tu’ pelle.
Fijjo, io ppiù te conzidero e ppiù ccali:
Andrea, le carne tue nun zo’ ppiù cquelle:
Credime, fijjo mio, tu mme t’ammali.
Roma, 22 novembre 1832.
- ↑ Paese a venticinque miglia da Roma, sulla via Cassia.
- ↑ Tenuta dell’agro-romano.
- ↑ Termine venatorio, significante un numero di cento uccelli. <span class="errata" title="[“La voce mancosus, e la sua valuta di calcolo sono giunti fino a noi, ed oggi nel vernacolo romanesco.... indica il numero collettivo di XXX: un mencoso o mengoso di allodole vuol dire precisamente trenta allodole.„ (Capobianchi, in Bullett. di Numism. e Sfrag.; Camerino, 1887; vol. III, n.º 3, pag. 85.) Come dunque il Belli afferma che voglia dire cento uccelli? Parecchi pollaroli da me interrogati mi hanno risposto concordemente che il vero mengóso è stato sempre, come dice il Capobianchi, una filza o un gruppo di trenta uccelli grossi, specialmente di allodole, e qualche volta anche tordi. Sempre però si sono anche fatti mengósi normali di quarantacinque, o di sessanta, o di novanta uccelletti, computandone tre per due allodole, o due o tre per una; e non è escluso che in via di capricciosa eccezione se ne sian fatti e se ne facciano anche di cento. Il Belli quindi ha confuso questa rara eccezione con la regola generale. — Cfr. anche la voce mengóti, usata da lui in altri sonetti.]">Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte
- ↑ A percussione.
- ↑ Cinghiali.