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Sonetti del 1832 | 111 |
LE COSE PERDUTE.
Ebbè?, pperché tte sei perzo1 l’anello
De tu’ cugnata, fai tanto fracasso!
Eh ddi’ er zarmo Cqui abbita,2 fratello,3
Che sse venne stampato a Ssan Tomasso.
Nun ce sò cc...i4 cristo!, è un zarmo cuello
Che ttra li sarmi der Zignore è ll’asso:5
Che ssi mmagaraddio perdi er ciarvello,
Lo troveressi in culo a Ssatanasso.
In caso poi de furto, Pippo mio,
Stenni una gabboletta risponziva,6
O ffa’ ffà7 la garafa8 da un giudio:
Indóve, appena scerto9 fume sbafa,10
Comparisce la faccia viva viva
Der ladro propio immezzo a la garafa.
Terni, 11 novembre 1832.
- ↑ Perduto.
- ↑ “Qui habitat in adiutorio Altissimi...„ Psal. XC. [Si attribuisce a questo salmo la virtù di far ritrovare le cose o le persone smarrite. Cfr. il sonetto: Lo scardino perzo, 21 giugno 1834.]
- ↑ [Qui sta per “caro mio, amico,„ e simili.]
- ↑ Non v’ha dubbio o difficoltà.
- ↑ È il primo; metafora presa dal giuoco della briscola.
- ↑ [Stendi una cabaletta responsiva.]
- ↑ Fa’ fare.
- ↑ [Caraffa. Anche in Toscana ci fu, e forse c’è ancora, il pregiudizio dell’incantesimo della caraffa, e quindi anche la frase far la caraffa, che poi si estese a significare fare incantesimi in generale. Oggi però s’usa solo per celia dai giocatori di certi giochi, quando fingono far de’ segni cabalistici, accioccè il gioco vada a modo loro. “T’ho fatto la caraffa, e non puoi più vincere.„]
- ↑ Certo (la c striscicata).
- ↑ Svapora. [Fume: fumo.]