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Sonetti del 1831 | 161 |
NUN ZE BBEVE E SSE PAGA.
Vedemo un po’, ssor oste da finocchi,1
Fùssimo2 Cacasenno e Bertollino!
Mezzo bbicchiere quinisci bbaiocchi!3
4Quant’a la bbotte l’arivenni er vino?
Fa ccommido eh, sor Lappa,4 er fiaschettino,
Quanno càpita er passo de l’alocchi?!
Chi smezza, paga:5 tu ppoi l’aribbócchi,6
8E ccusì un fiasco te viè a ddà un quartino.7
Tu dunque doveressi avélle8 intese
Quele sstorie inventate da Margutte,
11Dove disce accusì, che a cquer paese,
A ttempi der Patriarca Sorfautte,
Se cantava st’antifona a le cchiese:
14“Un cojjone che vviè, le paga tutte.„9
In legno, da Civitacastellana a Monterosi, |
- ↑ [Da nulla. Come nelle frasi, comuni anche in Toscana: non vale un finocchio, non me ne importa un finocchio, ecc.]
- ↑ [Se mai fossimo, se mai ci avesto presi per ecc.]
- ↑ [Poco più di settantacinque centesimi.]
- ↑ [Furbo. Ma nel senso proprio non so se equivalga al lappola de’ Toscani. È certo però che significa una o più specie di piccoli frutti mezzo salvatici e di sapore acre. Donde il verbo allappare.]
- ↑ [Chi smezza il fiasco, lo paga come se l’avesse bevuto intero. È un proverbio degli osti, coniato sull’analogia del Chi rompe, paga.]
- ↑ Lo riempi.
- ↑ Cinque paoli. [Poco più di due lire e mezzo.]
- ↑ Dovresti averle.
- ↑ [Corrisponde un po’ al proverbio, che si suol mettere in bocca a’ bottegai, negozianti ecc.: Chi ppaga, chi nun paga e cchi strapaga.]