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Sonetti del 1831 | 153 |
ER PIDOCCHIO ARIFATTO.1
Pe’ vvienìmme a pparlà fanno a l’aggara2
Donne tutte de garbo e obbrigazzione;
Me saluta Maria de lo scozzone,
La Chiappina e Luscìa la salumara.
E ttu, cco’ cquer grostin de protenzione3
De tienéttela sù,4 vacca somara,
Saressi5 mai la bbella Pulinara
Che mmonta su la scala der pavone?6
Insin’ a jjeri hai fatta la servaccia;
E mmo cche ssei, Dio guardi, er pissciatore
D’un Conte, soffi e mme ce sputi in faccia?
Ricòrdete però che cchi ssetaccia,7
Fa ssemmola e ffarina.8 Er cacciatore
Quanno pia9 starne e cquanno storni a ccaccia.10
Terni, 8 ottobre 1831.
- ↑ Il parvenu dei Francesi. [“Pidocchio riunto,„ in Toscana. E forse non è altro che un’alterazione di pitocco.]
- ↑ A gara.
- ↑ [Con quel crostino, con quel po’ po’ di pretensione.]
- ↑ Di stare in alterigia.
- ↑ Saresti.
- ↑ Frasi di un gioco da fanciulli. [Cioè, del pis’ e ppisello. V. vol. VI, pag. 80, nota 1.]
- ↑ [Staccia. Perchè lo “staccio,„ in romanesco, si chiama setaccio. In spagnolo: sedazo.]
- ↑ [Chi ssetaccia, fa ecc. Proverbio.]
- ↑ Piglia.
- ↑ [Parrebbe un proverbio: Quanno starne e cquanno storni. Ma molti cacciatori, a cui ne ho domandato, non l’hanno sentito mai. Deve dunque essere un’invenzione del Belli, sull’analogia d’altri veri proverbi: Quanno a starne e cquanno a grilli.„ Disse la vorpe a li su’ fijjFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte; — Cacciatore fa caccia a ore; ecc.]