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Sonetti del 1831 139


bianche fossero rarissime: opinione, del resto, che se pure il modo fosse nato da qualche novellina, o, come alcuni credono, dal latino gallinae filius albae (Giovenale, XIII, 141; — Maes, Curiosità Romane, parte III; Roma, 1885; pag. 54-58), potrebbe tuttavia trovare anche un certo appoggio scientifico nel fatto che le oche selvagge son sempre grige. È quindi probabile che il Belli abbia voluto con questi versi spiegare burlescamente la contradizione che esiste tra il significato usuale di codesto modo e l’abbondanza delle oche bianche. Ma è anche probabile che egli abbia voluto alludere a un’altra cosa. “Nella quinta sala di quelle dette de’ Conservatori„ (mi scrive l’amico Porena, dotto e accurato rifacitore dell’Itinerario del Nibby), “si vedono due anitre di bronzo, quasi nere, le quali fino ai giorni nostri furono chiamate le oche del Campidoglio, e credute comunemente i simulacri votivi di quelle appunto che salvarono Roma dai Galli; mentre invece esse sono, come dico, due anitre, e v’è sicura memoria che vennero trovate nei giardini di Sallustio. Potrebbe dunque darsi benissimo che il dotto popolano introdotto a parlare dal Belli, credendo che codeste anitre del Palazzo de’ Conservatori, al cui cortile si riferisce indubitabilmente il secondo verso del sonetto, siano i ritratti delle storiche oche, e vedendole nere, immagini che le oche attuali siano bianche per un decreto del Senato. Forse il Belli volle darci, come in altri sonetti, un saggio dell’erudizione popolare di Roma, o parodiare quella degli archeologi del suo tempo, che, troppo corrivi, avevano battezzato le anitre di Sallustio per le oche del Campidoglio.„ — Tornando all’origine del modo, potrà esser d’aiuto o anche d’impedimento a trovarla, ma sarà sempre utile il sapere che in Sicilia la bestia cambia colore: Figghiu di la gaddina nìura.]