Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/370

58 Sonetti del 1830



CAMPO VACCINO.

3.

     A cquer tempo che Ttito imperatore,
Co’ ppremissione che jje diede Iddio,
Mové la guerra ar popolo ggiudio
Pe’ ggastigallo che ammazzò er Ziggnore;
              5
     Lui ridunò la robba de valore,
Discenno: “C...., quer ch’è dd’oro, è mmio:„
E li scribba che faveno pio pio,1
Té li fece snerbà ddar correttore.2

     E poi scrivette a Rroma a un omo dotto,
10Cusì e ccusì che frabbicassi un arco
Co’ li cudrini der gioco dell’otto.

     Si ce passònno3 li Ggiudii! Sammarco!4
Ma adesso, prima de passacce sotto,
Se farìano ferrà ddar maniscarco.5

10 settembre 1830.

  1. Facevano bisbiglio. [Propriamente, far pio pio si dice, come a Firenze, degli uccelli piccoli quando pigolano, e soprattutto de’ pulcini.]
  2. Così chiamavasi un individuo destinato nel Collegio Romano a frustare gli scuolari.
  3. Se ci passarono.
  4. Per forza. [È una fiaba, come tante altre. Al trionfo che si fece in Roma per la conquista di Gerusalemme, dovettero, si, prender parte settecento tra i più bei giovani prigioni ebrei, mentre il più terribile de’ loro capi, Simone figlio di Giora, veniva con un laccio al collo trascinato nel Foro, e flagellato e ucciso; ma l’arco in onore di Tito, fu eretto dopo la sua morte, sotto Domiziano. — Sammarco! è un’abbreviazione molto comune del proverbio: San Marco fa fà le cerase (ciliege) pe’ fforza. Il qual proverbio, usato anche nelle Marche e nell’Umbria, deriva evidentemente dal potersi dire quasi maturate per forza le poche ciliege che si trovano mangiabili in queste regioni nel giorno della festa di san Marco, cioè il 25 di aprile. Il popolo però lo crede derivato dall’essersi questo santo preso l’incomodo di far maturare per forza in detto giorno un albero di ciliege del giardino papale, per appagare la voglia d’un papa, che le desiderava ardentemente.]
  5. [Dal manescalco. E questa repugnanza degli Ebrei è realmente vera.]